Totò tedesco

Non ci sono più i tedeschi di una volta, e questo non è detto che sia un male. Ma qui si intende l’estinzione progressiva dei nibelunghi con il monocolo sull’anima, quei teutoni tutto d’un pezzo che non si fidavano di nessuno ma dei quali potevi fidarti sino alla morte, previa stretta di mano.

Un duro colpo alla credibilità prussiana lo ha inferto un tedesco che solo per caso non è nato molto più a Sud, professione truffatore, riuscito nell’impresa di portare a termine nella realtà l’affare che rese immortale Totò nella finzione. Ha venduto a un suo connazionale non la fontana di Trevi ma qualcosa di simbolicamente affine: l’ambasciata americana a Roma. Ci vuole coraggio a proporla, serve una gran dose di ingenuità a trattarla. Ma l’acquirente non ha mai avuto dubbi della bontà dell’affare, affascinato dal savoir faire di Wolfgang Kroll, dalla competenza del signor Donato (finto direttore di banca), dell’eleganza del rappresentante del Viminale signor Walter (fintissimo 007, garante dell’affare) e dall’avvenenza di lady Annalisa (figuriamoci se mancava la femme).

La proposta era una vendita in blocco di gran lusso: palazzo Margherita, dove sventola la bandiera americana, a 580 mila euro e la prestigiosa sede della Fao a 600 mila. Numerosi incontri, mesi di trattative e poi la firma del compromesso: un assegno da 900 mila euro. È possibile che qualche dettaglio sfugga perché i protagonisti della truffa sono stati tutti denunciati e la faccenda è in mano al giudice. I tedeschi sono cambiati, ce ne siamo accorti dal comportamento della kanzlerin Merkel che, mentre chiedeva il rigore a noi, sforava il massimo consentito al suo export. E mentre faceva le pulci alle nostre banche salvava le sue casse di risparmio con aiuti di Stato border line. Segnali, anzi indizi.

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