Tarantella

«Ce simme sfasteriati» (ci siamo stancati). È la decima lista che lancia la candidatura di Luigi De Magistris, ed effettivamente il folclore mancava.

Le altre nove sono un misto di civismo tradizionale (Napoli in comune, Bene comune per De Magistris, Dema) e di politica nebulizzata (Verdi, Italia dei valori, Repubblicani più Pippo Civati). Da tutto questo esce un minestrone dal profumo indefinibile che dovrà rieleggere «’O sindaco» in quella che si presenta la più confusa e surreale partita amministrativa italiana. Anche più di Roma. A Napoli non si sono fatti mancare niente: gli aspiranti sindaco sono nove, le liste che li sorreggono sono 33 e i candidati al consiglio comunale sono 1.290. A caccia di una poltrona dalla quale provare a modificare l’immodificabile e di tessere gratuite per andare a tifare Higuain.

Ogni candidato ha davanti a sè un piccolo guaio dal quale difendersi. Valeria Valente (Pd) s’è vista cancellare due potenziali consiglieri perché sorpresi a regalare un euro ai partecipanti alle primarie. Gianni Lettieri (Centrodestra) ha inaugurato la campagna elettorale con una querela a De Magistris che lo aveva accolto così: «Se io devo fare l’antidoping lui deve fare l’antiriciclaggio; spieghi Lettieri come ha trovato i soldi per le sue attività». Il Movimento Cinquestelle ha il compito di convincere i napoletani a togliersi il sorriso dalle labbra al nome del candidato uscito dalla democrazia del web: Brambilla. E De Magistris? Lui ha lo stesso problema da cinque anni: un miliardo e mezzo di debito pubblico e il modo di farlo finire sulle spalle degli altri italiani.

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