Se i lupi sono altri

In questa storia, per ora, i lupi sono altri. Il ministro dimesso ne porta il cognome, gli altri l’indole e i canini affilati. Lui se n’è andato come chiedeva l’opposizione e come gli aveva consigliato il premier Renzi, e a mandarlo a casa sono state alcune intercettazioni che non contengono alcun profilo di reato.

Di conseguenza, Lupi ha lasciato non dopo un avviso di garanzia (non è indagato), non dopo una condanna, non dopo l’accusa di aver commesso un reato. Vale la pena sottolinearlo perché ieri è accaduto un evento epocale che per la prima volta vede la classe politica italiana comportarsi come quella tedesca. Ricordiamo il ministro della Difesa Guttemberg (come altro poteva chiamarsi?) fare un passo indietro dopo essere stato accusato d’aver copiato vent’anni prima parte della tesi di laurea. Questione d’opportunità, che in Italia ha la consistenza di un elastico.

Lupi era un bersaglio grosso ed è stato abbattuto, a differenza dei quattro sottosegretari del governo Renzi che - pur essendo sotto inchiesta da parte della magistratura - rimangono tranquillamente al loro posto senza che questo impedisca il sonno a Fassina, Civati, Vendola e al resto della sinistra Pd. La differenza è sostanziale, perché in assenza di dimissioni di Lupi, martedì gli scontenti del Partito democratico avrebbero votato la sfiducia e avrebbero ufficialmente aperto una crisi di governo. Usare Lupi per impallinare Renzi nascondendosi dietro le intercettazioni non è nobile, ma così avviene nella parte più tafazziana della sinistra italiana. Dopo le dimissioni di Lupi, Grillo e Salvini dal canto loro hanno attaccato Renzi. Forse perché non gli ha anche sparato

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