Rompere le uova nel paniere

La parola magica è «il Paese reale». Ne abusano i politici ed è il supposto target delle trasmissioni noir tanto in voga, con relative concitate speculazioni. Parlare «al Paese reale» è la medaglia al merito che troppi generali senza truppe appuntano alla giacca, convinti di vendere aria fritta al prezzo della saggezza.

«Tempi moderni» avrebbe sospirato, senza proferir parola, il grande Chaplin. Tempi a suo modo fotografati dal «Paniere» dell’ Istat, che ogni anno raduna centinaia di voci di spesa dell’italiano medio (la statistica lavora sulle mezze misure) per tener d’occhio il tasso d’inflazione. Se non ci siamo persi fra merendine e sottilette, a scorrere la lista alimentare gli italiani restano quelli di uova, zucchero, farina, caffè e patate (eventualmente anche fritte). Eppure stiamo diventando sofisticati.

Nel Paniere, per «segnalare le modifiche dei comportamenti di spesa delle famiglie», fra salsicce, baccalà e pancetta arrivano ora i biscotti e la pasta senza glutine, il caffè al ginseng e la birra analcolica. Certo non sono più i tempi di trippa e olio di fegato di merluzzo, a fatica si è salvata la cicoria. L’impressione è che anche a tavola stia scemando il collegamento con il territorio, altra parola magica. Nella patria del Barbera e del Prosecco, sono da Paniere i prezzi del car sharing e del salmone affumicato, ma diventano snob il foiolo e la polenta e osei, per la quale addirittura rischi la galera. Per la Penisola dell’Istat sono da «arretrati» stereo, dvd e navigatori, sorpassati dal pollice che striscia sullo smartphone.

Non vorremmo rompere le uova nel Paniere, ma considerare Expo «a chilometri zero» non significa solo che ce lo ritroviamo nel cortile di casa. Chi ovunque insegue la teutonica efficienza, provi a cominciare con due fette di speck con senape o salsa rosa e una buona birra. Tutta roba che non abbiamo nel Paniere.

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