Riecco la Tasi

di Giorgio Gandola

Riecco la Tasi in tutta la sua sgangherata cupidigia. Se ne parla perché solo il dieci per cento dei comuni (790 su 8.000) ha deciso le aliquote, quindi si prefigura il classico rinvio a settembre, all’italiana. Vale la pena fare un po’ di storia.

Riecco la Tasi in tutta la sua sgangherata cupidigia. Se ne parla perché solo il dieci per cento dei comuni (790 su 8.000) ha deciso le aliquote, quindi si prefigura il classico rinvio a settembre, all’italiana. Vale la pena fare un po’ di storia.

Sfinito dalle insistenze del Pdl che nel mezzo di una crisi epocale voleva a tutti i costi eliminare l’Imu, il governo Letta s’inventò il pastrocchio chiamato Iuc, imposta unica comunale, che conteneva tre balzelli: due vecchi (Imu e tassa sui rifiuti) e uno nuovo, appunto la Tasi.

Per far abolire l’Imu sulla prima casa, Berlusconi aveva minacciato di lasciare il governo, cosa che avrebbe comunque fatto con la scissione interna. Così la Tasi cominciò ad entrare nel lessico degli italiani come imposta sui servizi indivisibili, formula con la quale i Comuni ci faranno pagare l’illuminazione pubblica anche quando le strade sono buie, la polizia municipale anche quando mette gli autovelox a tradimento.

Servizi che dovrebbero già essere coperti dalle addizionali Irpef. Ora abbiamo la conferma che la Tasi costerà più dell’abolita Imu. Mentre il gettito di quest’ultima era di 20 miliardi, quello previsto per la nuova imposta sarà vicino ai 27, anche perché buona parte dei Comuni affamati di risorse applicherà presumibilmente l’aliquota massima.

Morale: non è vero che non pagheremo più l’Imu (grazie Berlusconi e Letta) e non è vero che il sistema sia stato semplificato (grazie Letta e Renzi). Sappiamo solo che il pasticcio costerà più caro ai cittadini. E anche questa non è una novità.

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