Quel caffè «corretto» euro

Gianlorenzo Barollo

Ricordo bene la mattina del primo giorno senza euro. Pioveva, ma non importava perché avevo il portafogli gonfio di lire e la schiavitù dell’Eurozona pareva solo un brutto sogno.

Ricordo bene la mattina del primo giorno senza euro. Pioveva, ma non importava perché avevo il portafogli gonfio di lire e la schiavitù dell’Eurozona pareva solo un brutto sogno. Però alla panetteria sotto casa la mia fiducia nel radioso futuro dell’Italia venne subito infastidita dalla vista dello scontrino.

Come sarebbe 4 panini quattromila lire? Il panettiere sorrise: non è colpa mia, i fornitori hanno aumentato i prezzi e i distributori pure. Pagai prima che se ne uscisse con l’odiosa battuta «È l’economia, bellezza».

L’idea di un caffè per togliermi l’amaro in bocca fu pessima: la tazzina era bollente, non per la temperatura. Era un caffè «corretto» dal rincaro istantaneo della materia prima pregiata e dei trasporti.

Il barista vedendomi accigliato mi fornì una breve lezione sul concetto di «filiera» prima di annunciarmi il suo trasloco all’estero, in Bengodi. Era lì che prosperava il Made in Italy: zero tasse, zero burocrazia, ma un costo del lavoro che rivaleggiava con i peggiori scantinati cinesi.

Temendo di varcare la soglia di un supermercato, corsi dritto in ufficio.Tra l’altro era giorno di paga. Mi si presentò una busta sottile con il solito foglio zeppo di detrazioni e una cifra finale arrotondata... al ribasso. In amministrazione furono comprensivi, chiarirono che tasse e debito pubblico non sparivano passando dall’euro alla lira e per integrare il potere d’acquisto perduto mi diedero una bustina di sementi per l’orto: pomodori e carote. Finalmente una valuta solida che cresce... in giardino.

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