Parole come piume

Sui social network corrono insulti crudeli, minacce feroci, ultimatum senza scampo. È l’Isis? No, sono nostri amati e coccolati figli/alunni.

Lo ha denunciato con coraggio anti-privacy il preside-educatore di una scuola media di Parma, che ha messo in rete i messaggi-choc tra alunni/figli su WhatsApp, invitando i genitori e gli insegnanti ad essere presenti, a fare qualcosa. Da sempre i muri scolastici – soprattutto quelli dei bagni – hanno ospitato frasi truci o oscene, tenere o minacciose. Il passaggio ai social rappresenta un salto, perché il contesto è interattivo, giorno e notte, gli effetti si moltiplicano a valanga.

Il passaggio dal «cervello-che-legge» al «cervello-digitale» ha depotenziato la parola. Per noi adulti le parole sono pietre, per i digital natives sono lievi come piume. La sensazione è che noi adulti e loro ragazzi abitiamo ormai due pianeti diversi: ma chi sono i marziani? Eppure questi scambi segnalano un deficit crescente di educazione alle emozioni, ai sentimenti, alla relazione. Noi generiamo e alleviamo con amore i nostri figli, li avvolgiamo di ogni attenzione, li dotiamo del superfluo, considerandolo necessario, nelle scuole abbiamo fatto i Cobas dei genitori a loro difesa. Diamo loro tutto eccetto l’essenziale: la nostra presenza educativa.

L’assenza degli adulti e la solitudine dei ragazzi: questo lamenta il preside di Parma. Nessun uomo è un angelo, neppure i nostri figli. Come noi, anch’essi sperimentano pulsioni, emozioni, frustrazioni e rabbie, desideri e passioni. Se per questo magma incandescente non approntiamo canali educativi, fatti di testimonianza presente, di Sì e di No, esso brucia identità individuali e relazioni. La libertà dei nostri figli è una costruzione faticosa. Con loro.

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