L'Urlo / Bergamo Città
Martedì 05 Aprile 2016
Offshore
Benvenuti nel mondo iperconnesso. Lo diciamo ai grandi della Terra che dovrebbero saperlo da soli (Putin, Cameron, Poroshenko), ai manager eternamente sulla cresta dell’onda come Luca di Montezemolo e alle star come Leo Messi che, povera stella, spiega: «Firmo quello che mi dice papà».
Nel mondo iperconnesso il segreto non esiste, tutt’al più esiste la presunzione d’innocenza fino a prova contraria. Per il resto è una giungla, quindi chi oggi grida al complotto della Cia (Putin) o si smarca con sorpresa (tutti gli altri) dall’accusa di utilizzare società offshore a Panama dovrebbe sapere che tutto ciò è a tempo, fino alla prossima rivelazione. L’elenco dei vip è lungo, ma nel giro di dieci giorni verrà snocciolato come una formazione di calcio. I «Panama Papers» rubati - oggi si dice hackerati, ma è la stessa cosa - allo studio legale Mossack Fonseca possono far tremare per qualche giorno politici, personaggi dello spettacolo, imprenditori e banchieri (nell’elenco ci sarebbe anche Ubi, che ha smentito), ma l’esperienza ci dice che la ricerca di paradisi fiscali è un hobby senza rischio di declino.
Un tempo c’era solo la Svizzera, poi il Lussemburgo, poi cominciarono ad andare di moda i Caraibi (Bermuda, Bahamas, Cayman). Per principio avere la sede legale d’una società all’estero è lecito, a patto che i movimenti vengano dichiarati alle autorità del proprio Paese. Alcuni lo fanno per difendere i beni dai criminali, altri per questioni di eredità, altri ancora per pianificare investimenti. I problemi nascono quando dietro quei fondi ci sono evasione o corruzione. Vecchi vizi che continuano anche nel mondo iperconnesso. Per fortuna con qualche segreto in meno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA