Occupy casa d’altri

È una guerra fra poveri, ma il silenzio non aiuta a chiuderla. È quella che si combatte nelle periferie per le case popolari, tra inquilini terrorizzati d’essere vittime di un’occupazione e senzatetto esasperati e disposti a occupare un’abitazione pur di avere un alloggio.

Il filone mediatico è spuntato nei giorni scorsi a Milano, dove l’Aler (ente regionale che gestisce buona parte delle case popolari) non riesce più a far fronte all’emergenza e alcuni casi limite diventano paradigmatici di una situazione non degna di un Paese civile.

È assurdo che un inquilino ricoverato in ospedale per una settimana, al ritorno trovi la sua casa occupata da disperati che in quel momento lo sono meno di lui. Perché violare una casa è come violare l’anima. Ed è ancora più assurdo che non riesca a rientrarne in possesso se non dopo un iter burocratico estenuante. Con scene da commedia, come quando la polizia mandata per lo sgombero si trova davanti una donna incinta «ingaggiata» dagli occupanti per dissuadere le forze dell’ordine. Spesso dietro queste occupazioni c’è la malavita. E lo Stato fatica a ristabilire il principio di legalità.

L’Aler è in crisi: ha perso 60 milioni nel 2013 e altri 90 li deve ai fornitori che dovrebbero garantire le manutenzioni, ma che - di fronte alle insolvenze - non intervengono più. Così le abitazioni degradano, le 20 mila famiglie in lista d’attesa non entrano e gli alloggi vengono occupati abusivamente con i sotterfugi più luciferini. Il fenomeno è preoccupante, un cattivo esempio del quale ogni Comune dovrebbe tener conto. Sarà anche di moda, ma «Occupy casa d’altri» è il segno d’una società che non sa più dove abita la legalità

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