Nove marzo

Le miss da passerella sono sei. Stanno sedute su un muretto e alle spalle hanno un ambiente di degrado urbano post atomico per sottolineare la precarietà della nostra società; questi art director ne sanno una più del diavolo.

Non dimostrano più di 25 anni e indossano tutte una tuta mimetica militare, molto di moda da almeno una decina di stagioni, mai fuori dalle collezioni primavera-estate. Quattro di loro guardano dritte verso l’obiettivo, tre sorridendo, una con aria più intensa. Le ultime due sono rivolte altrove in modo differente: una sembra colta di sorpresa dallo scatto mentre si ravvia i capelli con chignon, l’altra invece osserva i movimenti fuori campo, come a verificare l’assenza di pericoli. Tutte tengono al piede un accessorio molto cool e a questo punto indispensabile.

Non è una Manolo tacco 12 ma un fucile mitragliatore Ak 47, altrimenti noto col nome del suo inventore, l’ingegnere ferroviario Mikhail Kalashnikov. È la foto dell’otto marzo più gettonata sulle autostrade della rete e sui social media. Oltre lo spazio dell’obiettivo non c’è un set con fondali, riflettori e filtri luce, ma Kobane.

Sono le soldatesse curde che hanno partecipato alla battaglia simbolo della resistenza al Califfato. Contro uomini che rendono schiavi donne e bambini, che impongono leggi liberticide, che distruggono la cultura millenaria dei popoli, che decapitano e terrorizzano, che massacrano vignettisti, nella Stalingrado d’Oriente sono scese in campo giovani donne senza velo. Né in testa né sull’anima. Probabilmente non sono state decisive (di sicuro non come gli F16 americani), ma il loro coraggio di figlie, di madri, di spose, ha creato una contrapposizione forte con la follia omicida dei guerriglieri incappucciati. Hanno combattuto e hanno vinto, come accade più o meno da duemila anni. Non solo l’otto marzo, ma anche il nove.

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