Nazara Raus

«Ci prendono tutto ma non possono togliere Dio dai nostri cuori». L’arcivescovo della chiesa siriaca di Mosul, Nicodemus Sharaf, sa che prima o poi i fanatici dell’Isis proveranno a fare anche questo.

Lo Stato islamico continua la sua avanzata, da quella regione dell’Iraq i cristiani fuggono senza bagagli e senza documenti dopo aver trovato sulle porte di casa l’enorme scritta N (che sta per nazara, nazareno), segnale del disvelamento, della riconoscibilità. E quindi del pericolo di vita in questo delirante tuffo nel passato che ci riporta direttamente allo Juden raus dei nazisti e alle sue più orribili conseguenze.

Mentre il G7 si occupa del clima (ma senza Cina e India, massimi inquinatori del pianeta, è poco più d’un esercizio di stile), i guerriglieri neri avanzano e sono arrivati a quattro chilometri dal più antico monastero di quella che si chiamò Mesopotamia. È San Matteo, fondato nel 361 e aggrappato alle alture di Mosul. Lì, tre monaci e una mezza dozzina di studenti predicano ostinatamente in aramaico e aspettano con paziente rassegnazione di veder spuntare dalla pianura gli autocarri con la mitragliatrice montata sul cassone.

Hanno messo in salvo i tomi antichi della biblioteca e le reliquie del santo, trasferiti da tempo a Erbil. Almeno le vestigia eterne rimarranno tali e non correranno il rischio di assaggiare il piccone e il fuoco della furia islamica. Quanto a loro stessi, sembra non abbiano il concetto di salvezza che accompagnerebbe noi, uomini di tutti i giorni. «Ci prendono tutto, ma non possono togliere Dio dai nostri cuori». Anche se il mondo sembra girato dall’altra parte, non sono soli.

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