Microchip e microtax

Compleanno famoso, torta grande: Bill Gates ha compiuto 59 anni e il mondo gli intona happy birthday. È uno dei protagonisti della rivoluzione digitale, pronto per i libri di storia.

Ma la cronaca ha ancora qualcosa da dirgli, e poiché tutto ciò che di grande e positivo gli viene intonato dagli altri, ci prendiamo il dovere di essere urticanti. Il suo impero paga un’aliquota di tasse inferiore a quella dell’ italiano medio. È singolare, ma il tycoon del terzo millennio, capostipite di una schiera di fenomenali innovatori (Steve Jobs per Apple, Mark Zuckerberg per Facebook, Jack Dorsey per Twitter, Pierre Omidyan per E-Bay, Jeff Bezos per Amazon, Page e Brin per Google), riesce a versare solo l’8% di imposte sui ricavi non fatturati fuori dagli Stati Uniti. Accanto a geniali programmatori ha saputo collocare formidabili fiscalisti che sanno fare surf sulle tassazioni del pianeta.

Oltre che dal successo, gli scapigliati di oggi e di ieri - con i genitori che volevano cambiare il mondo nel 1968 (Bob Dylan, Fragole e sangue, la rivoluzione beat) e che hanno visto i loro figli cambiarlo davvero - vengono giustamente accomunati dalle aliquote fiscali che farebbero invidia non solo a tutti gli imprenditori, ma addirittura a tutti i dipendenti del mondo.

Grazie a società fondate in Irlanda e Lussemburgo, per loro le pretese delle agenzie delle entrate (dal 3 all’8 per cento) sono una pura formalità. Solo in Italia, nel 2013 hanno fatturato 4 miliardi, ma nelle casse del Tesoro hanno versato 11 milioni di tasse (0,3%). Apocalittici nello charme, integratissimi negli affari.

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