L’Eco del libro proibito

di Giorgio Gandola

Questa ci mancava, e certamente mancava anche alla vanità smisurata di Umberto Eco. Il suo «Il nome della rosa» è diventato un libro maledetto da custodire con cura sottochiave per impedire reazioni incontrollate.

Questa ci mancava, e certamente mancava anche alla vanità smisurata di Umberto Eco. Il suo «Il nome della rosa» è diventato un libro maledetto da custodire con cura sottochiave per impedire reazioni incontrollate. Lo avrebbe deciso il responsabile dell’area educativa del carcere di Ascoli Piceno, che con la motivazione «È pericoloso» ne avrebbe impedito la lettura a un detenuto speciale: Davide Emmanuello, boss di Cosa Nostra in prigione a vita.

Il condizionale è d’obbligo non tanto perché la notizia arriva dal blog di un altro ergastolano nel sito «Le urla del silenzio», quanto perché tutto ciò che galleggia sul web merita sempre un approfondimento in più, visto che nella rete campeggiano ancora bufale come Hitler avvistato in Patagonia, l’Undici Settembre architettato dagli ebrei, Bin Laden ancora vivo e lo sbarco sulla luna mai avvenuto.

Detto questo, rimane la sostanza: «Il nome della rosa» è pericoloso. Lo è 34 anni dopo la sua uscita, lo è dopo essere diventato un best seller (oltre un milione di copie), dopo essere stato trasformato in un film record di incassi, dopo essere stato adottato come testo nelle scuole medie. Insomma dopo che tutti l’hanno letto, visto e forse dimenticato. Pericoloso e meritevole di sequestro come «Il dottor Zivago» di Boris Pasternak, il massimo per un romanzo e per il suo autore. In effetti, nel libro padre Jorge da Burgos inventa un modo originale per uccidere chi legge a sua volta un testo proibito di Aristotele. Ma è improbabile che il mafioso detenuto ad Ascoli possa imitarlo. Resta il mistero. A meno che il best seller degli anni ’80 sia così voluminoso da poter contenere una lima.

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