La scala prima
degli esami

L’incubo era una scala buia. Arrivava a turbare il sonno all’improvviso. Entrava nella mente a scompigliarne l’armonia, ad aumentare i battiti del cuore, a trasformare il riposo in un’indicibile angoscia. Uno scalone di pietra con i gradini bassi che partivano dall’androne, e io stavo alla base con nessuna voglia di percorrerlo ma con l’obbligo di farlo, perché nei sogni non hai mai la facoltà di scegliere. Annaspi e basta.

Sognavo la scala maledetta non dopo un’abbondante libagione di fagioli con le cotiche (me la sarei meritata), ma prima di un lavoro impegnativo, di un reportage dal Medio Oriente, dal Kosovo, prima di una decisione particolarmente difficile o dolorosa. Solo la scala, sempre l’indefinibile scalone senza tempo e senza identificazione. Un non luogo della paura, con una porta a vetri lassù in vetta. Ricordo che mi chiedevo come mai l’inferno fosse in alto e non in basso.

Così per 25 anni fino al giorno in cui mio figlio mi propose di accompagnarlo all’open day del liceo classico, lo stesso che avevo frequentato io. La richiesta mi inorgoglì e ci andai. Arrivato all’ingresso, mi fermai. Tutto era rimasto immobile da allora, il gabbiotto del custode, le colonne, le incisioni latine e quei gradini di pietra in penombra: la scala prima degli esami.

Cari ragazzi, ecco cos’è la maturità che comincia oggi: un rito di passaggio necessario verso le prime responsabilità, qualcosa che affascina e spaventa. Una scala che ci conduce al grande inganno della libertà degli adulti. Da quel giorno non l’ho più sognata.

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