La politica «intima»

di Elvira Conca

Diceva Agatha Christie che un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. E di prove ormai ne abbiamo più d’una: per i politici della Terza Repubblica, il vero segno del potere è la mutanda. Da esibire nuova ogni giorno. Un vero lusso, per i comuni mortali.

Diceva Agatha Christie che un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. E di prove ormai ne abbiamo più d’una: per i politici della Terza Repubblica, il vero segno del potere è la mutanda. Da esibire nuova ogni giorno. Un vero lusso, per i comuni mortali. Altrimenti come spiegarsi la continua scoperta, nelle pieghe delle inchieste sull’uso disinvolto dei rimborsi pubblici, di scontrini per acquistare tante banalissime mutande maschili.

A dare il via alla tendenza, Roberto Cota, il governatore leghista del Piemonte alla fine costretto alla resa, politica, dal pasticcio delle firme taroccate in campagna elettorale, ma travolto ben prima dallo scandalo dei rimborsi «impropri» per aver acquistato, durante una trasferta negli Stati Uniti, un paio di boxer con i soldi dei contribuenti. A stretto giro di posta, la notizia che pure un altro politico di un certo rango, Nicolò Scialfa, ex vicepresidente Idv della Regione Liguria, non ha resistito alla tentazione di aggiornare il cassetto della biancheria intima personale, attingendo anche lui alle casse pubbliche. Lo stesso hanno fatto anche alcuni degli 83 consiglieri della Regione Sicilia che, tra gli scontrini presentati per i rimborsi, ci hanno infilato pure quelli per l’acquisto di mutande e slip. I motivi di tanto zelno dei politici italiani per mantenere aggiornato e fresco il guardaroba intimo non è ben chiaro. Tra le spiegazioni plausibili, la paura – visti i tempi che corrono – di non farsi trovare con indosso biancheria consumata nel caso dovessero essere beccati davvero in mutande, lasciando però quelle logore ai poveri contribuenti italiani.

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