La morte invisibile

Nei giorni della grande tristezza e della grande psicosi affiora la paura più grande per l’Europa sotto shock: quella di un attentato chimico o peggio batteriologico. Il primo ad avventurarsi su questo terreno minato è stato il premier francese Valls, poco lucido mentre diceva «L’Isis potrebbe usare armi chimiche».

Una frase devastante se pronunciata da un premier evidentemente in possesso di indizi certi, subito depotenziata dallo stesso con l’aggiunta: «Da questi ci si può aspettare di tutto». Prima parte del discorso allarmante, seconda parte da bar. Ma oltre lo stupore per la faciloneria mediatica c’è la percezione di un pericolo reale, confermato dai servizi segreti occidentali che hanno sollecitato le polizie a controllare metropolitane, luoghi affollati e perfino acquedotti. E allora ci domandiamo: dove e come possono essere entrati in possesso, gli assassini neri, di un arsenale che necessita laboratori, scienziati, tecnologie consolidate? Gli analisti sostengono che durante l’avanzata in Iraq e in Siria, gli uomini del Califfato abbiano razziato nei bunker armi di questo tipo, prima a disposizione di Saddam Hussein e più recentemente di Assad.

Due mesi fa ad Aleppo un attacco con i mortai divenne letale per un intero quartiere. Non tanto per la potenza deflagrante delle granate, ma perché nelle ore successive c’era nell’aria un odore di uovo marcio. Era iprite, il gas mostarda usato anche nella prima guerra mondiale dagli austriaci. Era un attacco chimico. Si dà per sicuro che l’Isis sia entrata in possesso di un deposito di cloro. Noi non abbiamo risposte, solo una domanda: ma non s’era detto che prima Saddam e poi Assad non avevano armi chimiche, e questa insinuazione era solo frutto della propaganda della Cia per destabilizzare l’area? Vatti a fidare.

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