Applaudivano tutti, anzi si spellavano le mani i giornalisti presenti alla premiazione di Google come esempio massimo di «È giornalismo» per il 2013. A noi era sembrato un po’ esagerato appuntare sul petto di un motore di ricerca che rastrella gratuitamente notizie dagli editori la medaglia coniata da Montanelli, Biagi e Bocca. E lo avevamo scritto. Eppure lì applaudivano tutti, tranne alcuni scettici purosangue come Vittorio Feltri e Natalia Aspesi, che in tempi non sospetti avevano avanzato ben argomentate perplessità.
A distanza di un anno l’Europarlamento non solo si appresta a muovere tutte le carte possibili per limitare lo strapotere pubblicitario del gigante del web, ma addirittura ritiene di avere il diritto di chiedergli di scindere il motore di ricerca in due parti non permeabili: la prima dedicata all’aggregazione informativa, la seconda alla vendita di pubblicità. Una mossa che conferma come sia astuta e vincente la strategia di attirare pubblico grazie alle notizie prodotte dagli editori - che stanno perdendo ricavi perché le news vengono utilizzate gratis - e poi profilare clienti secondo i gusti a beneficio degli inserzionisti.
In Italia, il sistema garantisce a Google oltre un miliardo di fatturato (con tasse pagate in Irlanda), che costituisce il 55% del totale della pubblicità su Internet. Una cuccagna attorno alla quale si sta per aprire una battaglia epocale. Problema tutto italiano: due campioni dell’informazione multimediale, Matteo Renzi e Beppe Grillo, tifano per Google. E se fossero stati a quella premiazione avrebbero organizzato una standing ovation.
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