In orario

A volte mi piace fare l’uomo di mondo, quello che non perde tempo e fa fruttare i momenti vuoti.

Così ho fatto un salto in Posta all’ora di pranzo. Un ufficio di paese, piccolo, ma molto efficiente. Un cliente esce, confermando che c’è attività, e io sguscio dentro. La visione è magica: nessuno agli sportelli. Quasi mi do una pacca sulla spalla da solo, per complimentarmi del tempismo perfetto. Mi appropinquo al bancone inquadrando un impiegato, che però scarta il mio sguardo sgattaiolando tra le postazioni dietro il vetro. Mi avvicino di più con l’espressione pacifica, pronta ad un lieto «buongiorno», ma da dietro un terminale un indigeno postale mi fulmina gracchiando: «è chiuso».

Ah, ok, raccatto le mie pive nel sacco e torno all’uscita che con orgogliosa sicurezza avevo varcato. Entusiasmo frettoloso, avrei dovuto immaginare l’intoppo. Quando non si è abituati a ingannare lo scorrere del tempo succede. Ma prima, con pedanteria lieve, sbircio gli orari: lo stop categorico in giorni feriali è fissato alle 13,35. Bene, tutto regolare, però dopo un paio di passi mi viene automatico controllare l’ora: il mio orologio segna le 13,36!

Come non compiacersi per la precisione svizzera del servizio, le urgenti commissioni del piccolo cliente sono ben poca cosa paragonate al rispetto dei ritmi del grande motore postale. Un giorno, favoleggiando di antiche grandeur, potremo dirlo anche noi: quando c’era Renzi le banche non fallivano mai e le Poste chiudevano in orario.

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