Il Sessantotto di Renzi

di Giorgio Gandola

Sessantotto per cento. E’ un numero magico per la sinistra quello che ha accompagnato Matteo Renzi alla segreteria del Pd. E’ il numero delle rivoluzioni culturali.

Sessantotto per cento. E’ un numero magico per la sinistra quello che ha accompagnato Matteo Renzi alla segreteria del Pd. E’ il numero delle rivoluzioni culturali, quello delle svolte e del cambio generazionale. Sessantotto è sempre stato un mantra per il popolo progressista, il numero salvifico delle mode, degli eskimo, del rinnovare il mondo, ma anche del parlarsi addosso e delle illusioni.

Oggi Matteo Renzi lo evoca con una percentuale da trionfo, e l’idea che con il 68% in due mesi (promessa sua) manderà a casa i sessantottini ha un che di paradossale. Il sindaco ha vinto e ha davanti a sè una prateria di sorrisi, di applausi, di alleati della prima e dell’ultima ora. Secondo noi ha davanti anche due nemici. Primo: se stesso se indulgerà nel crogiolarsi dentro l’immagine del vincitore. Secondo: l’ apparato che, sconfitto nelle urne, deve ancora essere domato dentro gli uffici del potere.

Nella recente storia italiana ricordiamo solo un altro politico capace di uscire dalle urne con una maggioranza così schiacciante: Silvio Berlusconi alle elezioni politiche del 2001, quando ottenne la maggioranza assoluta. A lui gli italiani avevano dato (dopo la parentesi del governo D’Alema) una carta di credito col tetto illimitato per compiere quella rivoluzione liberale che avrebbe messo il Paese al passo con l’Europa di vertice, vale a dire Germania, Francia, Gran Bretagna. Nei dieci anni successivi nulla di tutto ciò accadde. Monito per Matteo Renzi: vincere è fondamentale, ma far fruttare la vittoria lo è ancora di più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA