Il Draghi solitario

Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Eppure oltre le Alpi la popolarità di Mario Draghi non è ai massimi storici per un motivo molto semplice: il banchiere centrale è l’unico a difendere i diritti comunitari di quell’Europa che la Germania egemone vorrebbe composta da sudditi piuttosto che da partners.

I tassi sotto lo zero, il quantitative easing (la possibilità di finanziare direttamente le banche per far ripartire l’economia) sono considerati provvedimenti antitedeschi perché impediscono alla finanza germanica - già straripante di suo pur con i debiti clamorosi della Deutsche Bank - di stravincere. L’equilibrio di Draghi non piace alla Bundesbank con l’elmetto a punta, ma lui tira dritto. Ieri in un’intervista alla Bild ha rilasciato due dichiarazioni insolite per un burocrate, pur d’altissimo profilo. Prima: «Non c’è davvero nessuno al mondo che sia interessato al fatto che io sia italiano, a parte i media tedeschi. Ma un presidente tedesco terrebbe esattamente la stessa rotta che abbiamo al momento». Seconda: «Una cosa è chiara, la Bce obbedisce alla legge, non ai politici. È normale che i politici commentino le nostre misure, ma sarebbe anormale se noi li stessimo a sentire».

Due schiaffi a Berlino, due altolà al tentativo di sfondare l’argine per tornare a dettar legge dalla porta di Brandeburgo. Già dobbiamo assistere alle evoluzioni ben poco entusiasmanti di un’Europa fondata solo sulla moneta e sulle restrizioni. Sarebbe il massimo se dovessimo anche fare i conti con una Bce al servizio di Schauble. In questa fase Mario Draghi, più che un banchiere, è un politico capace di fare da contrappeso all’arroganza teutonica. Però c’è un problema: è l’unico.

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