Il cuoco? Un maître-à-penser

di Francesco Anfossi

Accendi la Tv e li trovi come il prezzemolo. Acclamati come maître-à-penser, salutati come generali di brigata di cucina, celebrati come gli stilisti negli anni ’80. Richiestissimi in conferenze, congressi, talk-show, mostre, galà, premiazioni, seminari, lectio magistralis.

Accendi la Tv e li trovi come il prezzemolo. Acclamati come maître-à-penser, salutati come generali di brigata di cucina, celebrati come gli stilisti negli anni ’80. Richiestissimi in conferenze, congressi, talk-show, mostre, galà, premiazioni, seminari, lectio magistralis. Scrivono libri best seller, firmano mobili, gioielli, collane di saggistica, girano documentari e forse l’anno prossimo si candideranno all’Oscar.

Sono gli chef, i nuovi protagonisti di un’Italia di sessanta milioni di ex commissari tecnici diventati cuochi stellati, popolo di degustatori votati al culto del «libro e sorbetto». Prendi i giudici di «master chef», ormai glorie nazionali. Li imitiamo quando siamo in cucina cercando di armonizzare il sapore del pangrattato con la mentuccia.

Al ristorante, diventiamo come zio Barbieri o il cugino Cracco, simpatici come doganieri alla frontiera di Chiasso dopo che ti hanno trovato due stecche di sigarette sotto il sedile. Rimandiamo indietro il filetto al pepe verde per la cottura e convochiamo il cuoco dalle cucine perché le cipolle della matriciana non erano abbastanza appassite. I giovani non sono da meno.

Federico Ferrero, il dottorino vincitore di Masterchef, sostiene di avere il dono del «palato assoluto», così come Mozart possedeva l’orecchio assoluto. E immaginiamo la faccia del rancoroso sfidante Almo, il Salieri di Bari. «Ah, ma quanto studio prima dell’assolo», condisce il sublime Federico come una salsina al rabarbaro, «La creazione viene dopo, è il momento sillogico». Michelangelo deve aver provato qualcosa di simile con il Mosè. Perché non parlate, garganelli al ragù d’anatra?

© RIPRODUZIONE RISERVATA