Il boom cinese

Il medico ha sentito bussare e ha detto: avanti. S’è aperta la porta, è entrata una ruspa e ha cominciato a demolire l’ospedale con dentro i pazienti, gli infermieri, gli anestesisti e i dottori con lo stetoscopio al collo. «Poi ti sei svegliato», direte voi. E invece è tutto vero, ci sono alcuni feriti e chi ha la polvere dei calcinacci sulle spalle può dimostrare ai parenti di avere vissuto un’esperienza che si chiama urbanizzazione.

Càpita anche questo nella Cina del miracolo economico, che nonostante le fibrillazioni della Borsa continua la sua lunga marcia con un piede nel comunismo e l’altro nel capitalismo più selvaggio. Teatro del delirio è Zhengzhou, città diventata metropoli qualche anno fa passando da 400 mila a 4 milioni di abitanti. Dovevano allargare una strada - ormai quelle con meno di quattro corsie sono considerate viottoli - e sulla direttrice hanno trovato un ospedale che stava lì dai tempi di Mao. Aspettare permessi, ricorsi al Tar, consigli comunali, piani attuativi, piani di evacuazione e «ore X»? Ma va’, meglio abbattere tutto con la gente dentro e si salvi chi può.

Ci hanno detto che laggiù il benessere galoppa, che costruiscono aeroporti spianando colline in due mesi, che l’urbanizzazione non può attendere e che quel cielo marrone sopra le città fa pure la sua figura. Ne prendiamo atto, esattamente come hanno fatto i pazienti e gli addetti dell’ospedale semidistrutto, con danni ai macchinari per mezzo milione di euro (tutti finiti sotto le macerie). Zhengzhou è anche chiamata Apple City perché 300 mila persone ci assemblano gli iPhone ad un prezzo davvero concorrenziale. Materiale umano, non capitale umano. Fabbriche e loculi per dormire. In fondo è civiltà anche questa, almeno dicono. Fino a quando, un giorno, non bussa una ruspa.

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