Guarda che Lula

C’è un giudice a Copacabana? Chissà, intanto si registrano bizzarre vicende brasiliane che somigliano a faccende storicamente italiane.

L’ex presidente della Repubblica Luiz Ignacio Lula da Silva, indagato e interrogato con l’accusa di avere intascato tangenti nello scandalo Petrobras (due miliardi di dollari di mazzette elargiti dalla compagnia petrolifera di Stato) ha deciso che non è il caso di sentire da vicino il tintinnio di manette. Uno dei campioni politici del Sudamerica campesino 2.0 si è fatto eleggere dall’attuale capo dello Stato Dilma Rousseff (sua delfina designata nel partito e in Parlamento) ministro della Casa Civil per non essere arrestato.

Un gesto fulmineo e scaltro, documentato da un’intercettazione che sta mandando in piazza migliaia di persone indignate. L’operazione Lava Jato (autolavaggio) è una sorta di Tangentopoli brasiliana portata avanti dal giudice Sergio Moro che dice di avere preso lezioni da Antonio Di Pietro e Baltasar Garzon, il primo senza bisogno di presentazioni e il secondo inquisitore principe dell’Audiencia nacional spagnola, sotto le grinfie del quale finirono Pinochet, Berlusconi, Kissinger prima di essere cacciato dalla magistratura per intercettazioni illegali.

La mossa di Lula è di un opportunismo tale da non fare onore al partito dei Lavoratori da 13 anni al governo; l’immunità parlamentare non è mai stata un valore della sinistra. In attesa di sapere se ha ragione lui o i giudici di Maos Limpas (mani pulite), prendiamo atto che tutto il mondo è paese. E che i miti del populismo latinoamericano - più di altri - sono creati per essere abbattuti.

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