Fraternité?

Liberté, égalité, tienilité. È sgrammaticata ma rende l’idea, la terza parola destinata a sostituire fraternité nel motto fondante della repubblica francese. La vicenda di Ventimiglia va molto oltre le regole dell’accoglienza e anche quelle della diffidenza.

La gendarmeria che respinge i migranti e che ne riporta un migliaio al confine italiano dopo averli bloccati a Nizza costituisce uno schiaffo all’Europa da parte di uno dei paesi fondatori e rappresenta una Francia oscurantista, plumbea, fuori registro che non ricordavamo dai tempi di Vichy. È vero che nel paese più multirazziale del continente ormai le elezioni si vincono e si perdono attorno alla parola securité, sicurezza intesa come attenzione alla roba nel senso dato da Giovanni Verga. Ma è altrettanto vero che la Francia non può buttare a mare i suoi doveri con la leggerezza di un governo canaglia anche perché ha una responsabilità storica: il grande esodo nordafricano ha come epicentro la Libia, destabilizzata, annientata da una guerra fortemente voluta e combattuta in modo sgangherato proprio dai francesi guidati da Sarkozy in versione Louis de Funés.

Adesso che bisogna gestire le conseguenze, loro che fanno, si chiudono nei villages fleuries e spalmano il camémbert sulle tartine? Pessima figura, indegna di ciò che rappresenta il paese dei Lumi. A qualcuno la lunga e profonda crisi ha prosciugato il portafoglio, a qualcun altro ha prosciugato l’anima. <E noi dovremmo rimanere dentro un’Europa - si chiede Grillo con tempismo elettorale - che ha come unica risposta ai problemi quella di chiudere le porte come nel Medioevo e alzare i ponti levatoi?>. Ineccepibile. Quei migranti col cartello «Non siamo bestie», mentre la Francia violenta la propria storia, sono il simbolo di un enorme fallimento.

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