Federalismo kaputt

Finisce agosto, si torna alle abitudini cittadine. E dalle parti delle nostre tasche si ripropone uno strano ingorgo di mani che meriterebbe una denuncia per molestie; è il movimento grifagno di tutti coloro che pretendono tasse, imposte, balzelli.

Finisce agosto, si torna alle abitudini cittadine. E dalle parti delle nostre tasche si ripropone uno strano ingorgo di mani che meriterebbe una denuncia per molestie; è il movimento grifagno di tutti coloro che pretendono tasse, imposte, balzelli.

Lo Stato, le regioni, le province buonanima, i Comuni. Questo a dimostrare che il pasticciato federalismo all’italiana è un mezzo fallimento. Lo dicono i numeri e lo ribadisce il prestigioso centro studi della Cgia (associazioni artigiane) di Mestre che da anni monitora lo stato della nostra economia attraverso il costante studio del territorio.

Passiamo ai numeri: dal 1997 a oggi i tributi locali sono cresciuti del 190%, una mostruosità finanziaria che permette all’ente pubblico di dragare 106 miliardi. I quali vanno ad integrare - non certo a sostituire - i 376 miliardi di tasse centrali, aumentate nello stesso periodo (1997-2014) «solo» del 42%.

Poiché anche il ritorno in termini di servizi al cittadino non è migliorato, la sensazione palpabile è che nel meccanismo legislativo ci siano numerosi buchi. Lo conferma il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi: «Il federalismo all’italiana ha fallito perché il decentramento non è riuscito a frenare la spesa pubblica, anzi l’ha aumentata. Nei Paesi federali consolidati come Austria, Spagna, Germania, il costo della macchina pubblica è la metà rispetto a quello dei Paesi unitari. Da noi invece sono saltati i conti. Abbiamo continuato a spendere di più sia al centro sia in periferia. Con la conseguenza di un progressivo aumento del prelievo fiscale».

Morale: chi sta in mezzo al guado per non voler essere né del tutto centralista né del tutto federale, rischia come minimo una polmonite.

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