L'Urlo
Lunedì 13 Aprile 2015
Esilio di Stato
Aveva 26 attività commerciali e due fratelli. Ma oggi Angelo, 51 anni, 4 figli, testimone di giustizia da 15 anni, si ritrova a non avere più né le attività commerciali, che ha dovuto chiudere, né i due fratelli, che sono stati uccisi dalla mafia nel ’99 e nel 2000, quando avevano rispettivamente 48 e 42 anni.
Siciliano di un paese dell’agrigentino è nel gruppo dei 13 testimoni di giustizia che la Regione Siciliana, dando seguito ad una legge approvata dall’Assemblea regionale, ha assunto nei giorni scorsi. Ma il paradosso è che lui in Sicilia non può rimettere piede per motivi di sicurezza.
«Con i miei fratelli - racconta Angelo - ho fatto fortuna in Germania. Siamo rientrati in Sicilia negli anni ’90 e abbiamo cercato di aprire una attività commerciale. Subito problemi: il nostro negozio avrebbe fatto concorrenza ad un altro il cui titolare era appoggiato dalla politica locale e sono passati anni prima che ci venisse concessa la licenza. Ma il peggio è arrivato quando uno dei miei fratelli voluto aprire un’agenzia di onoranze funebri. Nel paese ce n’era un’altra senza autorizzazioni ma appoggiata dalla mafia. Io in quel periodo iniziai a denunciare le collusioni tra mafia e politica. Prima mi furono uccisi i cani. Nel ’99 e nel 2000 furono uccisi i miei fratelli. Il primo lasciò la moglie, il secondo moglie e tre figli».
Da allora Angelo - che ha raccontato alle forze dell’ordine i retroscena dei due omicidi e con le sue denunce ha fatto dimettere un sindaco e ha portato all’arresto di noti mafiosi latitanti, alla scoperta di un traffico di armi e droga, di appalti pilotati - ha lasciato la Sicilia e ha dovuto chiudere tutte le sue aziende. «Vuole la verità? Mi dispiace essere nato in Italia», dice.
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