Dickens in Corea

di Franco Cattaneo

Bisogna riconoscere che neppure Charles Dickens, l’apostolo sociale che ha raccontato le piaghe della rivoluzione industriale nell’Inghilterra dell’800, era arrivato a tanto. La visita di Matteo Salvini nella Corea del Nord ha svelato un lato inedito del rude padano che guida la Lega.

Bisogna riconoscere che neppure Charles Dickens, l’apostolo sociale che ha raccontato le piaghe della rivoluzione industriale nell’Inghilterra dell’800, era arrivato a tanto.

La visita di Matteo Salvini nella Corea del Nord ha svelato un lato inedito del rude padano che guida la Lega: la pietas verso l’infanzia nordcoreana e un approccio tardo sovietico nell’analisi sociologica.

Sorvoliamo sul tutor della delegazione, il senatore di Forza Italia Antonio Razzi, un simpatico accidente delle cronache politiche. Ma Salvini no, è un virile guastatore che va preso sul serio. In quel Paese, che per giudizio unanime è uno dei più feroci regimi al mondo, il nostro buon Salvini, con una lacrima sul viso, ha ritrovato uno splendido senso di comunità: «Ho visto tantissimi bambini che giocano in strada e non con la playstation».

Accidenti che folgorazione, che pennellata d’autore: in questa gigantesca caserma devota al caro leader ci sono oasi pedagogiche di ascendenza oxfordiana calcate da infanti felici di vivere in una «specie di Svizzera» (copyright Razzi). Poi, visto che doveva prenotare il rientro in Italia, Salvini ha precisato che non scambierebbe la propria vita con quella dei nordcoreani ma che, se proprio vogliamo essere pignoli quanto a libertà di stampa, non è che noi italiani possiamo dar lezioni viste le lodi quotidiane a Renzi.

Ecco, se invece di Renzi, il caro compagno Salvini avesse detto il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, saremmo qui a ricordare la prematura scomparsa del padano fattosi pontiere con Pyongyang. Il suo problema sono le cattive compagnie: in Europa con Marine Le Pen, altrove con Cina e Russia, il parterre de roi dei sinceri democratici.

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