Dalla verità al varietà

In fondo l’aveva già vinto Antonio Ricci per Striscia. Anche per questo non è il caso di gridare allo scandalo se il premio «È Giornalismo» è finito sulla scrivania di Rosario Fiorello, showman multiforme che da cinque anni tiene su Radiodue la rassegna stampa mattutina: «Edicola Fiore».

Non vale neppure la pena stare a interrogarsi se i fondatori di quello che avrebbe dovuto essere il Pulitzer all’italiana - vale a dire Montanelli, Biagi e Bocca - si rivolterebbero o meno nella tomba. Semplicemente lo scopo del premio s’è annacquato nel tempo (nonostante il promotore Giancarlo Aneri sia un eccellente produttore di vini) e alla ricerca è subentrata la noia. Con la conseguente voglia di stupire facendosi quattro risate, da parte della giuria composta da Anselmi, Mieli, Calabresi, Stella, Riotta. Tutti giornalisti capaci di riconoscere i valori di un lavoro che continua ad essere indispensabile per aiutare la formazione di una coscienza civile in un Paese, in una città, in un territorio.

Dopo il premio a Google (aggregatore di notizie di altri, quindi antigiornalismo per antonomasia) tutto era possibile. E allora vale la pena soffermarsi sulla parte più editorialmente nobile di Edicola Fiore, vale a dire «edicola», quel luogo magico che per tanti anni è stato fondamentale (e lo è ancora) nel dare una casa, un profumo, una magìa al mondo della notizia e della carta stampata. Se quello della giuria era un modo originale di premiare l’edicola, missione compiuta. Il resto è happening e declino. Soprattutto è l’arrendersi davanti a un fenomeno imbattibile: il giornalismo che un tempo cercava la verità, oggi si accontenta del varietà.

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