Contagio italico

Teniamoci su di morale perché, pur forti e armati di pudore e rispetto, con tremore e timore affrontiamo l’argomento, sperando di non turbare nessuno. Che di cadaveri trattasi di parlare, anche se di cadaveri stagionati, per così dire, visto che alcuni giacevano abbandonati a se stessi dal lontano 1990.

Poveri loro, nessuno li ha mai reclamati. Poveri loro, ma poveri soprattutto noi, se capitano queste cose all’Istituto di medicina legale de La Sapienza di Roma, una delle massime istituzioni universitarie e culturali italiane. Talmente massimo, l’istituto, che ha ridotto al minimo le proprie attenzioni igieniche verso gli ospiti – morti, nel loro stato peraltro del tutto incuranti di eventuali infezioni, avendo ormai definitivamente superato il problema; e viventi, ovvero medici, sanitari, parasanitari e semplici cittadini utenti, loro sì timorosi di beccarsi un qualche contagio fatale – così da essere costretto a chiudere baracca e burattini, l’istituto, prima che intervenissero i giudici a provvedere.

Ma di che carenze s’è mai macchiata la Medicina (il)legale? Cadaveri nei corridoi per mancanza di posti in cui riporli, resti umani conservati dal 1990 perché nessuno li ha mai reclamati, confusione assoluta nei reparti dove per l’appunto stazionano corpi senza vita di incerta paternità e destinazione. Il tutto certificato dai carabinieri del Nas. E ci meravigliamo del caos di tanti Pronto soccorso? Suvvia, è il destino italico: vivi o morti, avventurarsi in certi ospedali è sempre un brutto guaio. Facciamo le corna...

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