Clamorosa evasione

Il messaggio di fine anno del presidente Mattarella è stato un programma d’evasione. Difficile dar torto al capo dello Stato («le tasse sarebbero più basse se le pagassero tutti») e non cogliere il senso dei numeri, sempre decisivi in questo campo. Nel 2015 sono stati evasi 122 miliardi, 40 dei quali solo di Iva, e qui arriva il primo indizio perché non tutti possono far scomparire l’imposta con la facilità del mago Silvan.

L’ammanco equivale a 7,5 punti di pil, il che significa che il danno è enorme per le casse dello Stato e per i cittadini onesti. Un altro dato difficile da confutare è quello sulle percentuali di Irpef per categoria: il 94% lo pagano dipendenti e pensionati (titolari del 30% della ricchezza) e il restante 6% gli autonomi. Totale in soldoni: i 20 milioni di dipendenti pagano 100 miliardi l’anno, i 15 milioni di pensionati 57 miliardi, i 6 milioni di autonomi 11 miliardi. La morale del «si salvi chi può» funziona sempre.

I numeri decretano anche la sconfitta del sistema fiscale, capace di spremere all’inverosimile chi ha le spalle al muro, ma del tutto inadeguato a far emergere evasioni da Sing Sing. Questo il presidente non l’ha detto e per completezza avrebbe dovuto, anche perché le storture sono sotto gli occhi di tutti. Una recente: il trionfalismo con cui è stata salutata la notizia che anche Apple e forse Google (se ne ha voglia) pagheranno le tasse. I colossi americani si sono «accordati» e dopo avere guadagnato miliardi hanno deciso di versare l’obolo: 318 milioni Apple, 150 milioni Google. Facebook e Amazon non pervenuti. Il signor Rossi o Vavassori, contribuente italiano, che per un qualsivoglia motivo paga in ritardo una multa di 54 euro dovrà versarne 112. Lui, più che il suono dell’accordo sente quello del grilletto.

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