Califano e l’autista

«Tutto il resto è noia». Aveva ragione Califano, e anche l’autista dell’Atac (la società pubblica di trasporti romana) che al mattino non andava a lavorare - previo certificato medico - e la sera si esibiva in un locale come cantante proprio nelle hit del Califfo. Aveva ragione perché la malattia del mattino è compatibile con l’esibizione sul palco della sera. Una, due, plurime volte.

E noi dovremmo anche smetterla di comportarci da conformisti maliziosi che mettono in dubbio la buona fede di un uomo dal doppio destino, non certo dalla doppia morale. A pensarla così è un giudice che ha prosciolto il pubblico dipendente canterino dall’accusa di truffa aggravata per essersi «dato malato negli stessi giorni in cui la notte andava ad esibirsi nei locali pubblici come cantante».

Il fatto non sussiste e la motivazione è a prova di bomba: «La partecipazione all’evento canoro è perfettamente compatibile con la malattia, a sua volta inconciliabile con il lavoro». Una sorta di Comma 22 rivisitato e corretto ad uso e consumo del dipendente. Che poi proprio malattia non era, ma una forte dissenteria, come riportato dal certificato medico allegato al fascicolo processuale. E poco importa che gli attacchi siano avvenuti a Capodanno 2014, in concomitanza con lo show serale; a San Valentino, in coincidenza con un recital sugli innamorati e nel giorno della Festa delle donne, che lui avrebbe celebrato - neanche a scommetterci - sul palco. Tutto regolare, nessun furbetto nei dintorni. I maestri del diritto ci insegnano che le sentenze vanno rispettate. Come le corsie preferenziali degli autobus. E come le stecche all’opera.

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