Bandiera nera

Kobane, un nome che rischia di entrare nei libri di storia come Costantinopoli, Stalingrado, El Alamein. Sul palazzo più alto della periferia est di questa città curda ai confini con la Turchia sventola la bandiera nera dell’Isis. Il Califfato sta strangolando la difesa dei Peshmerga, si combatte strada per strada.

E nonostante le incursioni dei cacciabombardieri americani e inglesi, le milizie islamiche danno l’impressione di avere in mano le carte per vincere la partita. Forse l’hanno già vinta.

Chi mostrava scetticismo all’idea di un’operazione di difesa basata soltanto sui raid sta avendo ragione. E migliaia di profughi cristiani e curdi continuano ad ammassarsi alla frontiera turca per trovare la salvezza, incalzati da un esercito di fanatici che chiede a chiunque gli stia di fronte di convertirsi o di morire. Di fronte alla politica del terrore il mondo occidentale sembra attonito, non si sa se più indeciso o più confuso. Sta di fatto che il presidente turco Erdogan proprio in queste ore chiede a gran voce, si presume alla Nato, «un intervento di terra».

Ma c’è un dettaglio: i carri armati turchi sostano a motore spento a un chilometro da Kobane e gli ufficiali assistono dalle torrette alla presa della città senza muovere un dito. Attendono un ordine che non arriva. Ufficialmente stanno proteggendo i profughi. E l’ordine non arriva perché la Turchia ha chiesto a Obama, in cambio dell’intervento di terra, la destituzione di Assad. In questa pietraia, mentre Kobane è allo stremo e sventola la bandiera nera, l’Occidente mostra il suo volto peggiore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA