Babele

Parliamo la stessa lingua? La domanda percorre l’Europa e i suoi alleati dopo i giorni del terrore, che peraltro continuano nel cuore del Belgistan, dove dovrebbe farla da padrone la cultura occidentale.

Abbiamo la stessa moneta, e di questo c’eravamo accorti quattro anni fa quando l’Europa a trazione tedesca ci ha fatto vivere l’incubo del rigore senza crescita. Ma continuiamo a non condividere né sensibilità, né politica. Gli esempi di questi giorni sono terrificanti. Sicurezza globale e necessità di passarsi le informazioni per aiutare le polizie del continente a perseguire i terroristi, quei foreign fighters di ritorno dalle pietraie irachene e siriane. Tutti d’accordo? No, i tedeschi non hanno firmato il protocollo perché ritengono che «così formulato sia lesivo della sovranità nazionale».

La coalizione comincia a farsi sentire sul campo di battaglia, che si sviluppa soprattutto nelle liquide immensità del cielo. Ma un aereo russo sconfina in Turchia e l’aviazione della mezzaluna che fa? Gli intima di allontanarsi, invia due jet a scortarlo fuori dallo spazio aereo sovrano, eleva una protesta formale a Mosca, a Washington o all’Onu? No, Erdogan in persona dà l’ordine di abbatterlo. E il jet alleato diventa cenere in pochi secondi. Alla faccia dell’alleanza e della «solidarietà dei popoli vittime del terrorismo», parole del premier turco. Se a questo aggiungiamo la freddezza dell’Arabia Saudita (sunnita) nel contrastare l’Isis (sunnita , quindi utile per infastidire l’Iran sciita) e l’ambiguità degli Stati Uniti nel condurre una politica da leader nell’area, abbiamo un panorama che si può riassumere in una parola antica: Babele. C’è poco da essere ottimisti.

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