Arrestate lo zuavo

Uno sguardo dal ponte. Parigi è vittima della più devastante alluvione dal 1910, la Senna è diventata improvvisamente un Rio delle Amazzoni. Due morti, centinaia di sfollati, migliaia di case senza elettricità.

E il direttore del Louvre, pur avendo a disposizione satelliti, algoritmi e proiezioni statistiche, prima di chiudere il museo più famoso del mondo che fa? Si fa portare al ponte dell’Alma a guardare lo Zuavo. E tiene in gran conto come tutti i parigini il livello dell’acqua sull’enorme statua: ai piedi allarme, alle caviglie pericolo, alle cosce tragedia, alle spalle Atlantide.

Adesso è alle ginocchia, così monsieur Jean Luc Martinez torna nel suo ufficio e decide di sigillare le sale ai piani bassi e nei seminterrati per mettere in salvo i capolavori. Lo Zuavo è più considerato dei Bernacca e dei Giuliacci di Francia. Del resto è lì da un secolo e mezzo (unica pausa negli anni ’70 per il restauro del ponte) con la barba scolpita e i calzoni prudentemente rimborsati a scrutare le nubi, meno volubile di un esperto, meno ottuso di un modello matematico. Lo volle così Napoleone III dopo la guerra di Crimea per celebrare l’eroismo del battaglione berbero (appunto gli zuavi) che scalando un monte sorprese i russi alle spalle nella battaglia di Alma.

Così, in una società perennemente di corsa scandita dalle schizofrenie della tecnologia digitale, una città di oltre due milioni di abitanti (undici nell’area metropolitana) fradicia e depressa s’affida più volentieri a una statua. Vale a dire alla sensibilità, all’esperienza e alla storia dell’uomo. Con un vantaggio. Se alla fine dell’alluvione un magistrato vorrà aprire l’inchiesta di rito per disastro colposo (in Italia accade sempre) saprà dove mandare il primo avviso di garanzia. Lo Zuavo di lì non si muove.

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