Usa 2008/ Obama vince: Casa Bianca si prepara a "cambiamento"

Usa 2008/ Obama vince: Casa Bianca si prepara a "cambiamento" Attesi cambi di rotta nella politica estera di Washington

Roma, 5 nov. (Apcom) - "Un voto per il cambiamento" è unclassico fra gli slogan elettorali, a tutte le latitudini: dal"Cambio" che nel 1982 portò dopo quarant'anni i socialistispagnoli al governo a quello promesso da Tony Blair per chiuderedefinitivamente l'era Thatcher; a quello infine oggi incarnato daBarack Obama, neoeletto presidente degli Stati Uniti. Al di làdello slogan, quali e quante novità rappresenti Obama si presta ainterpretazioni diverse a seconda dal lato dell'Atlantico dalquale lo si guardi.Il fatto - storico - di un afroamericano per la prima volta allaCasa Bianca, in un Paese in cui fin qui l'aggettivo era statopreso alla lettera rappresenta un progresso innegabile: bastipensare alle polemiche scatenate a suo tempo dalla candidatura diJohn Fitzgerald Kennedy, di credenziali sociali impeccabili perl'establishment - anch'egli eroe di guerra - ma colpevole diessere di religione cattolica.Ma quello che il mondo si aspetta è un altro genere dicambiamento, ovvero quello della politica estera statunitense:una convinta marcia indietro dalla polica unilaterale in nomedella sicurezza a tutti i costi rappresentatadall'Amministrazione Bush, specie nel corso del suo primomandato: tant'è che l'Unione Europea ha già pronto un "menù" dirichieste da presentare alla nuova Amministrazione per affrontarecon maggiore cooperazione le questioni più delicate, dall'Iraqall'Afghanistan passando per il processo di pace in Medio Orientee la crisi finanziaria globale.Un cambiamento di rotta al quale fino ad ora Obama non si è maidetto contrario, sebbene sia sempre rimasto sul vago - e giàguadagnandosi cirtiche di atteggiamenti "semplicistici" da partedell'Europa - riguardo a temi di cui il più esperto è ilcompagno di ticket, Joseph Biden; è probabile anzi che non visiano in vista rivoluzioni vere e proprie, se non il definitivopassaggio di enfasi militare da Baghdad a Kabul; il processo dipace mediorientale non ripartirà se non dopo le elezioniisraeliane - che potrebbero vedere un ritorno dei "falchi" -mentre lo scudo di difesa missilistico potrebbe diventare daproblema politico-militare una questione economica, fermorestando la necessità di un nuovo equilibrio con Mosca.La politica estera rappresenta infatti solo una parte dell'agendadi un'Amministrazione: e per molti americani, specie in tempi didifficoltà economiche, neanche la più importante. Il ritirodall'Iraq non ha giocato che uno scarso ruolo in campagnaelettorale, nonostante sia in via di definizione l'accordo conBaghdad sullo status delle truppe statunitensi: molto più sentitiil crollo di Fannie Mae e Freddie Mac, l'aumento della benzina,la crisi delle Borse, i mancati pagamenti delle ipoteche.Tutte le Amministrazioni devono privilegiare la politica internase vogliono aspirare a un secondo mandato: e da Obama le comunitàafroamericane e ispaniche si aspettano una decisa politica diriforme sociali che diminuisca il divario esistente all'internodel "melting pot"; di riflesso, i conservatori temono una derivaliberal che non hanno esitato a definire "socialista".Quale che sia la meta effettiva che si prefigga Obama - che dovràriflettere sulle tante riforme fallite da Bill Clinton, comequella del sistema sanitario o sul porto d'armi - avrà in fondoun compito ben più difficile e di lunga durata in patria che nonall'estero: data la rigida separazione dei poteri e la strutturadei partiti (assai più dipendenti dalla lealtà degli elettoratilocali che non da quella alla Casa Bianca), la cooperazione deiparlamentari è fondamentale per far passare una nuova normativa,come molti Presidenti si sono accorti a loro spese.Basti pensare che negli anni Venti gli Stati Uniti non aderironoalla Lega delle Nazioni, creatura voluta da Woodrow Wilson, perla mancata ratifica del trattato; di fatto, uno dei pochiinquilini della Casa Bianca ad essere riuscito - grazie a una noncomune abilità di lobby, negoziati e pressioni su Rappresentantie Senatori - a far passare senza troppi tagli un importanteprogramma di riforme interne (sui diritti civili) è stato LyndonB. Johnson; che pure, in politica estera, è passato alla Storiaper l'intervento in Vietnam.

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