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Sport e doping: le regole che gli atleti non possono non conoscere

Articolo. Sostanze dopanti e metodiche dopanti, intelligenza artificiale e collaboratori distratti. Il doping è un labirinto di regole e scappatoie che chi gareggia deve saper gestire. La storia antica, ma anche quella recente è piena di casi di atleti che sono cascati nella trappola degli esami per colpa, per forza o per caso. Jannik Sinner, Martina Caironi, Andreas Krieger (nato Heidi) solo per citarne alcuni. La speranza è di vedere sul podio i più forti e non più furbi

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L’estate Olimpica non è mai stata così calda, e fino a domenica le Paralimpiadi ci terranno compagnia. È un’estate di sport e vittorie, di tornei internazionali di altissimo livello che ci tengono incollati agli schermi dei televisori finché non arrivano proprio questi giorni, quelli a cui abbiamo rimandato i famosi «a settembre m’iscrivo in palestra» e «promesso, quest’anno ci vado sul serio».

Mi sono sempre piaciuti i Giochi Olimpici e Paralimpici anche perché non importa a quanti chilometri si tengano da casa, riescono sempre a far sentire un popolo intero orgoglioso di chi li rappresenta. Le Olimpiadi prima, le Paralimpiadi poi, ma non dimentichiamoci della tappa romana della Diamond League 2024 di World Athletics e, soprattutto, gli US Open, che vedono coinvolti diversi campioni italiani tra cui Jasmine Paolini e Jannik Sinner.

Proprio di Sinner si parla molto in queste settimane e non solo perché è il numero uno al mondo, ma anche perché è stato al centro di uno scandalo doping che ha lasciato basito tutto il mondo sportivo e non. Come molti altri casi, non si sono risparmiati i commenti. Ma per parlarne con cognizione, proviamo insieme a capirci qualcosa di più.

L’elenco delle sostanze e delle metodiche proibite

Secondo il World Anti-Doping Code il doping (dall’inglese “to dope”, somministrare sostanze stupefacenti o eccitanti), o “dopaggio” in italiano, si riferisce all’assunzione di sostanze proibite, droghe o all’utilizzo di pratiche mediche da parte di un atleta con l’intento di migliorare la propria performance psico-fisica durante attività sportive, sia in gara che in allenamento, senza scopi terapeutici. Questo codice viene redatto dalla WADA, la World Anti-Doping Agency , l’ente internazionale che emana annualmente l’elenco delle sostanze e delle metodologie proibite o soggette a restrizioni, e le norme che regolano le attività di contrasto al doping.

Il doping nell’antichità e nelle guerre

I primissimi casi risalgono addirittura ai Giochi Olimpici dell’antichità, quando gli sportivi assumevano miscele di erbe che potevano conferire una maggiore resistenza. Durante la Seconda Guerra Mondiale, come narra lo storico Norman Ohler nel suo libro « Der totale Rausch. Drogen im Dritten Reich » (in italiano «Tossici: l’arma segreta del Reich», il fenomeno si espanse alla Wehrmacht stessa, l’esercito tedesco.

I soldati assumevano quotidianamente il Pervitin, una pillola a base di metanfetamina brevettata nel 1937 da Temmler, che creava in loro l’autosuggestione di essere gli indistruttibili guerrieri della razza ariana, stimolandoli chimicamente e inibendo stanchezza, paura e depressione. Nei successivi 80 anni, purtroppo, non sono stati pochi i casi rilevati di campioni che facevano uso di sostanze o metodologie così pericolose.

Il doping è un reato penale

In Italia è l’art. 1 della Legge 14 dicembre 2000, n. 376 che disciplina la tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping, un reato penale punito fino a tre anni di reclusione (che possono diventare di più se insorgono danni effettivi per la salute). Nel 2022, secondo la relazione annuale sulla tutela sanitaria delle attività sportive e la lotta contro il doping del Ministero della Salute, su un totale di 394 atleti controllati durante 95 diverse manifestazioni sportive sono 12 (3%) quelli risultati positivi a una o più sostanze proibite. Nelle analisi dei 20 anni precedenti, su un totale di 23’620 atleti il 3% circa è risultato positivo, con una percentuale maggiore nel ciclismo (5.7%), nel rugby (5.6%) e nella pallamano (3%).

I controlli antidoping possono essere effettuati a sorpresa o essere dichiarati, e consistono in analisi di campioni biologici (solitamente campioni di sangue o urine degli atleti) in laboratorio, per trovare le sostanze menzionate sopra. In caso di positività, ci possono essere conseguenze più o meno gravi in base ai singoli casi: dalla sospensione temporanea, al pagamento di una multa, alla sospensione a vita, come quella che ha colpito i ciclisti Lance Armstrong nel 2012 e Danilo De Luca nel 2013.

Le tre classi di sostanze dopanti

Ci sono tre classi principali di sostanze dopanti, differenziate in base ai loro effetti: stimolanti, eritropoietina e steroidi anabolizzanti. Rispettivamente, questi agiscono aumentando la velocità, la resistenza e la forza. Non tutte le sostanze dopanti sono “esterne” al nostro corpo, anzi: l’eritropoietina (o EPO) è un ormone proprio dell’organismo prodotto nei reni, che stimola la produzione dei globuli rossi nel midollo osseo e aumenta la resistenza allo sforzo e una ripresa più rapida. Chiaramente, una quantità maggiore di EPO nell’organismo porta ad avere più ossigeno nei muscoli e nel sangue, con tutti i vantaggi che può avere nella pratica sportiva. Un effetto diverso l’hanno, invece, gli anabolizzanti e gli ormoni della crescita, che aumentano la massa muscolare. Se ci pensate, anche il testosterone è un ormone normalmente prodotto dai nostri organismi, e porta ad avere uno sviluppo muscolare più definito negli uomini, dove la quantità è mediamente maggiore, rispetto alle donne. Eppure, quest’ormone viene utilizzato anche a scopi dopanti.

Un caso di doping del secolo scorso, a proposito, è sempre molto particolare da raccontare. Andreas Krieger, nato Heidi Krieger nella Berlino Est del 1966, è un ex pesista e discobolo tedesco, plurimedagliato in entrambe le discipline. È tristemente noto nella storia dello sport perché, oltre ai suoi successi, è un caso eclatante di quanto l’utilizzo eccessivo di ormoni maschili nelle donne causi effetti irreversibili: corpo massiccio, profondo timbro di voce, e con collateralità devastanti come tumori, infertilità, allucinazioni. Heidi, sotto il regime della Germania Est di quegli anni, si ritrovò ad assumere 2.590 grammi di anabolizzanti (Oral-Turinabol) in un solo anno, che compromisero inevitabilmente corpo e mente. «L’unico modo per continuare a vivere è trasformarmi in uomo, altrimenti penserei al suicidio», e così fece nel 1997.

Non solo sostanze, esistono anche le metodiche dopanti

Non solo sostanze però, ci sono anche delle metodiche proibite dalla WADA, tra cui le trasfusioni, ma anche il doping meccanico o tecnologico. Negli ultimi anni sta diventando sempre di maggior interesse il doping genetico , cioè l’uso non terapeutico della terapia genica da parte degli atleti: trasferendo dei geni tra vari tipi di cellule, si aumenta o diminuisce l’espressione genica e la biosintesi proteica di una specifica proteina umana. Ci sono diversi geni interessanti a questo scopo, tra cui il l’eritropoietina, il fattore di crescita insulino-simile 1, l’ormone della crescita umano, la miostatina, e diversi altri. Per rilevare le alterazioni si stanno potenziando sempre di più test PCR e di Next Generation Sequencing, biotecnologie che mirano a individuare le proteine e i geni d’interesse.

Un altro supporto per la diagnostica viene dall’ Intelligenza Artificiale (IA), che garantisce dei supporti non indifferenti durante gli allenamenti, la valutazione delle prestazioni, l’arbitraggio delle partite, e sta contribuendo a una rivoluzione nel mondo sportivo. La stessa WADA la sta utilizzando anche per i controlli antidoping: Olivier Niggli, direttore generale, ha raccontato come l’IA riesca a raccogliere e archiviare quantità enormi di dati che aiutano a tracciare i comportamenti e dare l’allarme quando si sospetta una positività.

Non solo Sinner: altri casi recenti

Sinner è stato trovato positivo al clostebol, uno steroide anabolizzante, in quantità infinitesimale (86pg/mL), a causa di una crema utilizzata da un trainer del suo staff per curarsi delle ferite alla mano, con cui dev’essere entrato in contatto con qualche ferita del nostro tennista. A causa del quantitativo così esiguo e della verosimiglianza delle giustificazioni, non è incorso in squalifiche.

Un caso simile è avvenuto nel 2019 con Martina Caironi , atleta Paralimpica bergamasca che vi ricorderete sui podi di Londra 2012, Rio 2016 e Tokyo 2020, portabandiera, campionessa T63 nei 100 metri riconfermata in molte competizioni internazionali, rappresentante del movimento paralimpico italiano come pochi altri. Anche lei positiva al clostebol , componente di una crema cicatrizzante (il Trofodermin) che serve per curare abrasioni, ulcere e piaghe, e che ha utilizzato per una ferita all’apice del moncone che le causava difficoltà e che altri farmaci non riuscivano a chiudere. Nonostante tale sostanza fosse stata dichiarata, è stata comunque considerata una violazione del regolamento antidoping, e per colpa di questo ha dovuto saltare i Mondiali Paralimpici di Dubai del 2019. È tornata subito più forte di prima, come confermano i suoi risultati in pista, e godrà del tifo di tutti gli italiani e, soprattutto, di tutti noi bergamaschi per la sua gara di questo sabato.

Le competizioni Olimpiche e Paralimpiche sono quelle in cui i casi di doping risultano, forse, più eclatanti. Quest’anno il Comitato Olimpico ha combattuto la sua lotta al doping durante tutta la durata dei Giochi, coinvolgendo in un vero e proprio lavoro di squadra circa mille persone nei controlli, il Laboratoire anti-dopage français (LADF), l’International Testing Agency (ITA) e la WADA stessa. Nonostante tanti sforzi, ci sono comunque dei casi di comportamenti illeciti, come il “ boosting ” tra chi ha lesioni al midollo spinale e il doping funzionale per rientrare in categorie con disabilità diverse dalle proprie effettive. Fortunatamente, si tratta sempre di minoranze.

Una “morale” sul doping dunque non può prescindere dalla conoscenza della complessità del tema. Sperando che a vincere non sia il più furbo, ma il più forte.

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