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Sono stata giudice di un contest culinario e vi racconto com’è andata

Articolo. «Vuoi che muoro?» e «Togliti il grembiule!» sono le frasi che più volte abbiamo sentito urlare da un giudice di un talent show culinario. E se tanto avevo sorriso, nei giorni precedenti alla manifestazione, al pensiero di lanciare piatti o “cacciare” qualcuno dalla cucina, devo dire che non è proprio andata così. E per fortuna!

Lettura 6 min.
(Sara Lancini Fotografie)

Partiamo dal principio. Qualche settimana fa ero in zona Bolzano per lavoro, in uno di quei posti dove appena ti sposti di un metro perdi la connessione con il mondo, e soprattutto la rete telefonica. Verso metà pomeriggio riparto verso casa e il mio smartphone impazzisce di notifiche. Tra le tante, quasi tutte di lavoro, mi cade l’occhio su un messaggio WhatsApp di un numero sconosciuto. «Ciao Sara, sono Paola di “Eatinero”, il Festival del cibo di strada che ci sarà a San Pellegrino Terme. Sarà una tappa speciale perché si disputerà la finale italiana degli “European Street Food Awards”, il concorso di street food più importante in Europa. Abbiamo istituito una giuria composta da 4 giurati che avranno il compito di assaggiare le pietanze e dare un punteggio di valutazione. Vorresti partecipare come giudice?».

Ma chi, io? Amo lo street food e adoro dire la mia su tutti i piatti che assaggio (chi mi conosce lo sa bene e spesso non mi sopporta). Per questo, la mia risposta non poteva che essere: «Buongiorno Paola, con molto piacere». Qualche minuto dopo ricevo una mail riepilogativa con tutte le informazioni utili, con gli orari e i luoghi dell’appuntamento, con l’elenco degli altri giurati (tra cui un assessore del comune di San Pellegrino, uno chef e titolare di diverse insegne e di un food truck, e persino un presentatore di un programma tv su «Gambero Rosso Channel»), ma soprattutto con i criteri di valutazione del concorso.

Alla giuria è richiesto di votare cinque aspetti:

  1. gusto (forza ed equilibrio degli ingredienti, sensazione al palato, retrogusto)
  2. estetica (presentazione e impiattamento)
  3. creatività (originalità, ricercatezza, difficoltà della ricetta)
  4. qualità degli ingredienti (materie prime, selezione, territorialità, DOP-IGP)
  5. food truck (estetica, identità, pulizia)

Tutti termini che per lavoro “mastico” abbastanza spesso. Insieme al materiale informativo, ricevo il link al sito ufficiale della manifestazione che annuncia i 10 food truck in gara. Tra loro ci saranno i vincitori che, a settembre, rappresenteranno l’Italia alla finale europea in Germania. Leggo i 10 nomi, ognuno con una breve descrizione sulla provenienza e la filosofia culinaria, ma mi fermo qui. Potrei fare una ricerca online, sbirciare il loro Instagram, ma invece no. Voglio arrivare alla competizione senza farmi influenzare da quello che vedo online. Voglio essere un giudice imparziale.

Ed ecco che arriva il giorno del concorso e parto alla volta di San Pellegrino Terme. Un misto tra curiosità e voglia di mettermi in gioco mi accompagnano per gli appena 25 km che mi separano dalla manifestazione… peccato che con il traffico del fine settimana i km sembrino 100. Disgrazie a parte, arrivo alla manifestazione e vengo subito accolta dagli altri giurati e dall’organizzazione. Presentazioni veloci e poi tutti al lavoro: non c’è tempo da perdere!

Sul viale di San Pellegrino sono posizionate 10 colorate cucine a motore. Da ogni angolo arrivano profumi invitanti e noi giurati iniziamo il nostro lavoro. Ci spostiamo tutti verso il primo food truck dove troviamo un giovane cuoco da Vicenza che ci racconta di esperienze in giro per il mondo prima di rientrare in Italia e lanciarsi in questa bella avventura. È alla sua prima competizione, gli facciamo un “in bocca al lupo” e via con il prossimo.

Tra colori sgargianti e forme divertenti, procediamo lungo il viale alla scoperta dei dieci partecipanti al contest. Mi colpiscono alcuni furgoncini davvero creativi. C’è chi ha trasformato un carrello per cavalli in una cucina; chi ha incastrato tutto il necessario in un metro quadrato; chi si è ispirato ai suoi fumetti preferiti. E poi ce n’è uno total black, con panini che si chiamano come alcune delle mie band preferite, e con un giochino musicale che – chissà per quale fatalità – mi permette di indovinare la canzone. Questo van ha già conquistato il mio cuore rock: alla voce «food truck» non posso che dare il massimo punteggio.

Proseguiamo con qualche domanda di rito a tutti i partecipanti, una rapida ispezione ai furgoncini, uno sguardo al menù e poi tutti pronti: la giuria deve tornare in postazione. È il momento degli assaggi. «È un duro lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo» ci diciamo sorridendo mentre arriva il primo candidato. Lo street chef sale sul palco e ci presenta la sua ricetta. Al nostro bancone vengono servite, ogni volta, due versioni della stessa pietanza. La prima è una porzione intera, presentata su un piatto dedicato, che serve a noi giurati per valutare l’estetica del piatto. In un altro invece ci portano la stessa pietanza già tagliata in quattro.

Il primo panino in degustazione è buono. Con ingredienti calabresi, come chi lo ha preparato, viene annunciato come hamburger piccante. In realtà, per mio gusto personale lo trovo poco spinto. Avrei gradito un kick in più, come si dice in gergo. Ringraziamo lo chef, lo salutiamo. È tempo di dare i voti. E qui il momento per me più arduo.

Nel campo note del foglio di valutazione segno diversi appunti: la nota piccante che avrei desiderato più spinta, la qualità degli ingredienti e la bontà del pane, che ungendosi nella parte inferiore aveva purtroppo perso un po’ di fragranza. Ovviamente non sono uno chef (e per altro non saprei nemmeno fare un panino così buono!), ma il mio lavoro mi porta spesso ad eventi culinari e – in questi anni – qualcosina ho imparato. Sempre rimanendo umili, eh!

Momento più arduo, dicevo. Sì, perché dare il primissimo voto di una gara è a mio avviso complicato. Non ci sono termini di paragone, pertanto il mio timore è quello di stare troppo alta, o troppo bassa. Per un attimo mi sono sentita come il professore di italiano alla prima interrogazione della sua carriera. Ci penso un po’ e poi mi convinco: gusto 75/100. La scheda di valutazione, come vi dicevo, ha cinque diverse voci. Il gusto è valutato su un massimo di 100; l’estetica su un massimo di 20 punti; mentre a creatività, qualità degli ingredienti e food truck possiamo assegnare 10 punti l’uno. Un regolamento che ci ha confuso non poco, lo ammetto.

La gara procede tra polpette al sugo, focacce farcite con polpo, hamburger con gamberi e bacon e così via. Gli street chef salgono sul palco uno alla volta e ci raccontano come hanno preparato le ricette, da dove provengono gli ingredienti che hanno utilizzato, qualche aneddoto sul loro food truck. Noi giudici procediamo all’assaggio e poi abbiamo un paio di minuti per fare alcune domande. Ci incuriosiscono le preparazioni, alcuni ingredienti ricercati, la storia dell’attività dei concorrenti. C’è chi ha scelto di proporre le ricette tipiche della propria regione di provenienza nella città dove vive; chi vuole fare un omaggio alla cucina della nonna, che l’ha cresciuta; chi ancora ha trovato l’ispirazione guardando il film «La ricetta perfetta», che racconta di uno chef che lascia il lavoro per aprire un ristorante su quattro ruote.

Non è solo la storia degli chef a colpirmi, anche il loro modo di porsi. C’è chi è più esperto e spigliato, chi invece alle prime armi e quindi meno avvezzo al microfono. Dopotutto, solitamente uno chef è abituato ad avere a che fare con padelle e fuochi, non a stare su un palco. Ma c’è anche chi vuole colpirci con altre doti. Un concorrente ci ha consegnato il panino a bordo di una bicicletta; un altro ci ha deliziato con un bel racconto sugli ingredienti che ha selezionato; e un altro ancora si è presentato con un outfit memorabile, un pantalone con un pattern a fumetto. Difficile non cedere alla tentazione di lasciarsi influenzare dalla simpatia: essere un giudice non è mica un lavoro semplice!

È solo dopo tre o quattro assaggi che uno dei colleghi in giuria, il più esperto di gare culinarie tra noi, mi svela il suo segreto. «Io scrivo tutti i voti su un foglio a parte, compilo la scheda di valutazione solo alla fine della gara. Questo perché non si sa mai… prima della fine degli assaggi può succedere di tutto». Un bel consiglio, ne farò tesoro alla prossima occasione. Non so se la mia tecnica è efficace, ma ho scelto di tenere il primo giudizio assegnato come termine di paragone, scrivendo una cifra più alta per chi mi è piaciuto di più del concorrente 1, e una cifra più bassa a chi mi ha convinto di meno.

«Ma hai mangiato 10 panini?» mi hanno chiesto più volte. Sì e no. Ho assaggiato dieci proposte diverse. Ogni porzione però, come detto, era divisa per i quattro giudici. E per ogni proposta ho fatto solo uno o due morsi, assaggiando anche gli elementi singolarmente. Questo era sufficiente a dare la mia valutazione. Ma ammetto: la gola ha avuto la meglio e, con i piatti più gustosi, non sono riuscita a trattenermi… li ho finiti!

Concluso il decimo e ultimo assaggio della giornata, è il momento di “fare i conti”. Ci viene chiesto di sommare il punteggio dei primi due voti, gusto e presentazione. Punteggio massimo 120. Questo è il voto che ci permetterà di decretare il vincitore della gara. Solo in caso di parità dovremo tenere in considerazione le altre tre voci della scheda. Se non ci avete capito niente, tranquilli… non l’ho capita nemmeno io. Contare i punti in effetti si rivela abbastanza complicato, ma dopo alcuni minuti e con il supporto degli organizzatori, ci siamo. Abbiamo un vincitore quasi all’unanimità.

Quasi, perché la sottoscritta Bastian Contrario è l’unica ad avere una classifica diversa dagli altri. Il primo posto degli altri giudici è al secondo posto nella mia classifica personale (anche se di pochi punti). Ovviamente sono d’accordo sulla scelta dei colleghi: ad aggiudicarsi la finale europea di settembre è Van Ver Burger con le sue specialità 100% plant based e vegane. Non solo il gusto e la creatività delle ricette: a convincerci la scelta dei due proprietari di proporre su strada la cucina vegana, che per molti è ancora un tabù (se lo è anche per voi, vi invito a leggere il mio articolo sul tema del veganesimo).

Alla fine, decretare la classifica finale è stato molto semplice. È stato sorprendente vedere come un assessore al turismo, un imprenditore della ristorazione, uno chef e presentatore tv e la sottoscritta – che si occupa di comunicazione e informazione enogastronomica – siano stati così allineati nel dare i voti ai partecipanti. Questo può voler dire solo una cosa: siamo stati davvero dei giudici imparziali!

Se siete arrivati fino a qui è perché morite dalla voglia di sapere come ci si sente quando si è chiamati a mangiare diverse prelibatezze e a dare il proprio giudizio. E ve lo voglio dire: ci si sente sazi.

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