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#psicogeografie: e se crescere fosse l’arte di rendere realizzabili i nostri sogni?

Articolo. Oggi, mercoledì 25 settembre, è la Giornata internazionale dei sogni. Tra desideri e immaginazione, proviamo a capire qualcosa in più sul sognare ad occhi aperti e sulle differenze con l’attività onirica prevalentemente notturna, inconscia e involontaria

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Diverse volte su queste pagine mi sono occupato del sognare inteso come attività onirica prevalentemente notturna, inconscia e involontaria. La celebrazione di oggi, invece, la decliniamo sul sogno inteso come progettazione fantasiosa, pianificazione di un desiderio. Quali sono i punti in comune e le differenze fra queste due attività? Oltre a quella evidente e logica del fatto che un’attività avviene (scrivo “avviene” e non “la svolgiamo” in quanto non sono sicuro che siamo noi a sognare, o piuttosto “veniamo sognati” dall’inconscio) mentre dormiamo, mentre l’altra avviene durante la veglia, ci sono differenze più o meno ovvie. Un’altra differenza evidente è che il sogno notturno sembra essere in larga parte indipendente dalla nostra volontà: il nostro inconscio e la nostra psiche ci preparano un film in cui siamo in qualche modo protagonisti (e, a un certo livello di analisi, siamo anche coprotagonisti, scenografia, colonna sonora…tutto ciò che accade e è presente nel sogno rappresenta in qualche modo una parte di noi) senza aver letto la sceneggiatura e senza poter in alcun modo interferire con essa. Ma ancora più interessanti sono le somiglianze di queste due attività della psiche.

Lascio fuori da qui discorsi che esulano dalla mia competenza: per esempio circa la possibilità di fare sogni lucidi, in cui si è coscienti di star sognando e si può quindi interagire e decidere attivamente, nel sogno e con i suoi personaggi - non sono esperto di questo fenomeno e, per il lavoro che faccio, per me è molto più utile e interessante che sia l’inconscio a decidere cosa mostrarmi - oppure l’antica discussione filosofica sull’esistenza del libero arbitrio.

Questo per dire che, sebbene anche nella vita diurna avvengano molte cose al di fuori della nostra possibilità di controllo, in genere abbiamo una certa possibilità di scegliere cosa fare e le nostre azioni hanno una logica conseguenza sull’ambiente con cui interagiamo, nei sogni spesso ci risultano impossibili attività semplici come controllare l’ora o fare una telefonata.

Fra le varie azioni che possiamo decidere di mettere in atto da svegli c’è quella, a volte molto piacevole, di immaginare qualcosa che potrebbe accaderci. Si tratta di una sorta di rêverie, uno stato di coscienza fra l’onirico e la veglia che ha, per la psiche, un’importanza enorme. Per Wilfred Bion , psicanalista inglese, è la stessa facoltà che permette a una madre di rendere “digeribili” gli stati emotivi del neonato dentro di sé prima di restituirglieli, un po’ come fanno le mamme uccello per nutrire i loro piccoli. Come nella prima infanzia ci rende assimilabili stati emozionali, nell’età adulta, quando compiuta da noi, ci fornisce, grazie all’immaginazione, una forma di test creativo di potenzialità ancora inespresse, ma che possono esser rese pianificabili sognandole.

Riguardo ai sogni intesi come proiezione nel futuro, come decidiamo cosa sognare? E quando decidiamo di metterci a sognare il nostro futuro? C’è una differenza fra il sognare qualcosa che potremmo realizzare e invece qualcosa totalmente al di fuori della nostra portata, così come c’è una differenza se sogniamo a occhi aperti proiettati verso un futuro che vogliamo rendere possibile o se lo facciamo come evasione da un presente che in qualche modo non ci piace (o che banalmente ci annoia).

Mi vengono in mente due esempi letterari di diversi approcci all’immaginazione: da un lato William Blake che, grazie a questa facoltà ha creato mitologie, poemi e immagini divenute capolavori delle arti figurative e della letteratura, dall’altro Des Esseintes, protagonista di « Controcorrente » di Joris-Karl Huysmans, che, perso nella sua immaginazione scatenata dagli odori del porto, decide di non partire, avendo già immaginato il possibile viaggio. Rinuncia dunque alla vita, all’esperienza, mentre Blake rende in qualche modo reali le sue memorabili fantasticherie (così Ungaretti traduce le «fancy» del «Matrimonio del Cielo e dell’Inferno» grazie alla creatività.

In questo i sogni diurni non si allontanano molto dalla visione che Sigmund Freud aveva dei sogni diurni, quando li descriveva come la realizzazione illusoria di un desiderio inconscio (ricordo un professore in università che insisteva su questo “illusoria”, raccontando di come spesso venisse dimenticato, ovvero rimosso, negli esami orali).

Diversamente, altri approcci, come quello di Carl Gustav Jung, danno al lavoro con il sogno anche una direzione finalistica oltre a quella causalistica. Quindi un sogno ci può dire qualcosa sul futuro, non in senso di premonizione, ma mostrandoci i semi del futuro nel presente che stiamo creando.

Personalmente sono convinto che nei sogni diurni, quando non sono una fuga consolatoria dalla realtà, ci sia invece una forte potenzialità prefigurativa riguardo il futuro. Forse possiamo creare un futuro solo se riusciamo prima a sognarlo, a immaginarlo. In questo sogno e immaginazione hanno il ruolo fondamentale (nel senso che costituiscono e costruiscono fondamenta) di anticipare e quindi rendere possibile la realtà.

Una domanda che ci si pone spesso è: «Quali erano i sogni che avevamo da piccoli? Cosa sognavamo di fare da grandi?». Ci siamo avvicinati a quel sogno? Ha ancora senso per noi? Non ho ricordi precisi a riguardo, ma mi raccontano che da piccolo volevo fare il «rotolaio», quello che sistema le rotaie del treno. Non so perché né come mi sia venuta questa idea (né questo neologismo), di sicuro non sarei in grado di fare quel mestiere e mi ritengo soddisfatto di quello che faccio, per quanto differente (anche se forse, simbolicamente, rendo più sicuro e facile il viaggio di chi incontro). Tuttavia, non ho smesso di sognare «cosa fare da grande» e credo che non dovremmo mai smettere. Possiamo essere più o meno contenti di quello che siamo ora, ma possiamo comunque sognare un futuro migliore (quantomeno per il pianeta) e contribuire a renderlo reale, partendo da noi stessi.

Cito spesso Tom Robbins che, in « Natura morta con picchio » scrive una delle frasi che più mi piacciono: «Non è mai troppo tardi per farti un’infanzia felice». Siamo portati a credere che si cresce fino a una certa età e poi si inizi a invecchiare. Secondo me si cresce sempre, per un certo tempo in altezza, poi, auspicabilmente, in profondità. Radicandoci, dunque e radicando i nostri sogni. Crescere può essere l’arte di rendere realizzabili i nostri sogni.

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