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#psicogeografie: la realtà del sogno

Articolo. Mentre sogniamo non siamo meno vivi di quando siamo svegli, le esperienze che facciamo nel sogno hanno un’influenza reale sulle nostre vite. Per questo è importante non trascurarli, e in un percorso di crescita psicologica svolgono un ruolo centrale

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Chi mi conosce sa che amo i viaggi a piedi. Avere sulle proprie spalle tutto ciò che ci serve, muoverci a un ritmo lento, al nostro ritmo, mettendo in sintonia lo scorrere del tempo con il nostro tempo interiore (e non viceversa, quando dobbiamo adattarci al tic tac di orologi e scadenze), è un’esperienza che consiglio a chiunque, e per me necessaria. Diventa anche una fonte preziosa di potenti simboli e metafore sulla vita, che sono ancora più preziose e istruttive perché incarnate e vissute.

Immaginiamo di essere in cammino e incontrare un viandante. Possiamo chiedergli da dove viene, o dove sta andando, possiamo scambiarci informazioni utili sulle rispettive destinazioni e percorsi, fare un pezzo di strada assieme. Possiamo fare la stessa cosa con i sogni, considerarli viandanti che incontriamo e capire cosa hanno da insegnarci o comunicarci.

I sogni sono viandanti, come noi. Non sono fantasmi o apparizioni, sono reali quanto noi, con una propria identità e volontà, separata dalla nostra. Shakespeare scriveva che siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Il sogno è reale quanto la vita da svegli, sono qualità di realtà diverse, ma ciò che ci accade in sogno è vita e ha il suo peso anche nella realtà diurna, anche se non ricordiamo i sogni o non ci diamo importanza.

Salvo esperienze di “sogno lucido”, non possiamo decidere cosa sognare. L’inconscio, questo amico saggio e antico, ci manda messaggi criptici, a volte con un linguaggio incomprensibile, a volte duro, ma preciso. Non siamo responsabili di cosa sogniamo: capita di sognare cose terribili che non faremmo mai nella vita diurna. In questo le due realtà sono diverse e hanno linguaggi diversi. I contenuti dei sogni sono simbolici, per cui non dobbiamo sentirci in colpa se nell’attività onirica ci capita di commettere crimini o atti inenarrabili. Possiamo però prenderci la responsabilità di dare un senso, eventualmente con l’aiuto di qualcuno, a ciò che abbiamo vissuto.

Tobie Nathan, etnopsicologo francese, scrive, ne «I segreti dei vostri sogni», che il lavoro sul sogno richiede tre momenti: il sognare (e ricordare cosa si è sognato), il tradurlo in parola, e il comunicarlo a un “interprete”. Il sogno, dunque, è comunicazione. Dell’inconscio verso di noi, di noi verso qualcuno e di questo terzo di nuovo a noi e al nostro inconscio, per aiutarci a svelare il linguaggio simbolico e comprenderne i messaggi.

Il lavoro con i sogni può avvenire in diverse modalità, a seconda dell’approccio dell’interprete. Per Nathan, per esempio, una buona interpretazione «calma la mente, risolve un problema e, soprattutto, propone un’azione nella vita reale». Dà un compito che il sognatore deve mettere in atto nella vita diurna, insomma.

L’interpretazione della psicoanalisi classica, invece, è un’indagine a ritroso sulle cause, su ciò che ha generato le immagini oniriche.

Per Sigmund Freud, il sogno è la realizzazione illusoria di un desiderio («I sogni son desideri di felicità» cantava Cenerentola nel film Disney), scoprire quale può generare una sorta di illuminazione, un insight, sulle proprie dinamiche inconsce, facendoci fare un passo verso la risoluzione di qualche conflitto inconscio.

Per Carl Gustav Jung l’interpretazione non basta e propone l’amplificazione, in cui i contenuti simbolici del sogno vengono collegati a elementi analoghi, creando così una trama complessa, una trama che nella mia esperienza si fa rete di senso e significato, crea una connessione con una realtà più ampia e profonda, quella dell’inconscio collettivo.

Sapere che, in relazione a quello che stiamo vivendo in un certo momento della nostra vita, il nostro inconscio ci comunica una narrazione di un certo tipo e che questa narrazione ha elementi di connessione con una Storia più antica e in qualche modo universale, contribuisce a dare un senso diverso alla nostra vita diurna. Come se il viandante incontrato ci desse delle dritte sul percorso che stiamo per percorrere sulla base di sue conoscenze legate anche a altri territori.

Può capitare che una bambina bergamasca sogni una favola Sufi trasfigurata, per esempio. O che qualcuno, raccontando un sogno, descriva un arcano dei tarocchi senza averlo mai visto. O capita di sognare elementi di miti di culture di cui non sappiamo niente. L’amplificazione prova a unire questi puntini, creando una narrazione più complessa e connessa a un senso profondo. Mentre l’interpretazione unisce un’associazione all’altra in una catena che si ferma naturalmente quando si incontra un conflitto (gatto > topo > top > non sono al top > ho paura di fallire), l’amplificazione allarga la rete e lo sguardo in più direzioni (gatto – il Gatto con gli stivali – la dea Bastet – un animale totem eccetera), creando connessioni fitte.

Jung scriveva che «probabilmente noi sogniamo sempre, ma quando siamo svegli la coscienza fa tanto chiasso che non ce ne accorgiamo più». Volendo possiamo “giocare seriamente” e provare ad amplificare eventi della nostra vita che ci colpiscono in modo particolare perché forse hanno un significato simbolico che ci parla. Qualche volta mi è capitato, durante una sessione di psicoterapia, di usare modalità tipiche del lavoro sui sogni lavorando con qualcosa accaduto nella vita diurna, con risultati molto interessanti, che se da un lato spiazzano la nostra parte logica e razionale, dall’altro in qualche modo mettono a suo agio l’inconscio, che invece parla per simboli e in maniera analogica.

In analisi bioenergetica la visione del sogno è simile: non viene data troppa importanza alla sua origine, ma si cerca ricoglierne il messaggio finalistico (in un’ottica teleologica, in cui ci importa più la direzione finale che l’origine) contenuto, lavorandoci anche con il corpo, mettendone anche in atto alcune scene, rivivendole e attualizzandole per poi approfondirne vissuti emotivi e echi. Per esempio se in un sogno un personaggio esprime rabbia, si può provare a esprime quella rabbia, o se chi sogna incontra qualcuno (o addirittura qualcosa) che ne colpisce l’attenzione, può provare a impersonare quella persona o quella cosa e parlare e esprimersi. Se sogno di mettermi al volante della mia auto e di non riuscire a curvare, posso provare a mettermi nei panni del volante e parlare a me stesso. Posso scoprire che una parte di me non vuole che io cambi direzione in qualche aspetto della mia vita.

Nel lavoro con i sogni, a un certo livello, tutto quello che accade avviene in un teatrino interno in cui noi siamo tutti i personaggi, la regia, abbiamo scritto i copioni e siamo pure gli oggetti di scena. Se sogniamo di fare del male a qualcuno, per esempio, questo può esser visto come un conflitto fra due parti di noi, e l’inconscio ha preso la nostra immagine e quella della persona in questione come marionette per mostrarci questo conflitto, invitandoci a portarci attenzione. Per questo nell’analisi può essere importante sentire e vedere tutti i punti di vista degli elementi del sogno, anche di oggetti che possono sembrare in secondo piano. È un lavoro molto bello, sempre arricchente.

Post Scriptum: dato che le vacanze sono vicine e molte persone han più tempo libero, consiglio una lettura: «Sandman», saga a fumetti scritta da Neil Gaiman, il cui protagonista è Morfeo, il signore dei Sogni; e un film: «Waking Life» di Richard Linklater, il cui protagonista, dopo un incidente, cerca per tutto il film di capire se sta sognando o se è sveglio.

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