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#psicogeografie: fare il primo passo

Articolo. Dai nostri primi passi incerti e dalla reazione emotiva di chi in quel momento ci era vicino può dipendere molto dell’atteggiamento che abbiamo oggi nei confronti della vita e di come affrontiamo inizi e novità

Lettura 3 min.

Siamo bipedi: il fatto di avere solo due punti di appoggio invece dei quattro dei nostri fratelli quadrupedi rende il nostro equilibrio più instabile, e la caduta un pericolo sempre presente. Proviamo ad alzarci in piedi: per accorgerci di quanto è precaria questa postura proviamo a alzare un piede. Su una sola gamba probabilmente dovremo correggere l’equilibrio spostando il baricentro muovendo le braccia o il busto. Proviamo ora a protendere il piede alzato di fronte a noi e a sbilanciarci in avanti. Cadremo leggermente in avanti, sul piede che abbiamo avanzato. Una piccola caduta, una breve perdita di equilibrio. Ma soprattutto: un passo.

Fare il primo passo, iniziare a camminare, letteralmente e metaforicamente sono tutte esperienze legate a una sensazione di sbilanciamento necessaria. Qualcosa di simile al senso di “vuoto” nella pancia sulle montagne russe, un istante di incertezza totale su quello che sta per succedere. Sono convinto che c’è una piccola parte di noi che non è del tutto sicura che il piede sospeso troverà la terra quando ci fideremo a poggiarci il peso! Ed è proprio quella fiducia di avere la terra sotto i nostri piedi, che in analisi bioenergetica rientra nel concetto più ampio di “grounding” o radicamento, quella fiducia simbolicamente rappresenta il nostro essere in contatto con il presente e, se manca, ci può tenere bloccati nella paura di cadere, fallire o sbagliare, come se questo fosse per forza qualcosa di irreversibile.

Per muoverci, insomma, dobbiamo perdere l’equilibrio e accettare la possibilità di cadere. Se usciamo dalla nostra zona di comfort, possiamo sbagliare, fallire. Confrontarci con l’incertezza, con l’ignoto, e a volte questo può fare più paura che il restare in una zona di comfort, per quanto scomoda e disfunzionale questa possa essere. È una gabbia, ma è la mia gabbia. Una tortura, ma ci sono abituato. Alcuni di noi sono eccitati ed elettrizzati dalle novità, mentre altri ne sono spaventati. Chiaramente spesso siamo tutti da qualche parte nel mezzo, spostati verso la paura o la trepidazione a seconda della novità attesa e di come stiamo in quel momento, ma da cosa può derivare questa diffusa e strisciante paura a fare il primo passo?

Come umani, nasciamo fragili e dipendenti per costituzione: nei primi mesi a stento reggiamo il peso del nostro cranio. Poi iniziamo a gattonare e a esplorare il mondo goffamente, finché riusciamo a portarci in posizione eretta e iniziamo, goffi e tremolanti, a camminare. Spesso cadiamo, inciampiamo, avanziamo incerti. Questi primi esperimenti di movimento e esplorazione sono cruciali per la costruzione della nostra psiche, non solo per come procediamo noi, ma anche per la reazione di si sta prendendo cura di noi in quel momento.

Se guardiamo un bambino in queste fasi di esplorazione, sia camminando, ma già gattonando, possiamo osservare che probabilmente farà qualche passo e poi si girerà a guardare verso l’adulto di riferimento. Dalla reazione di questa persona dipende in buona parte l’atteggiamento che assumeremo nei confronti della vita: quando siamo molto piccoli, non abbiamo mezzi per interpretare la realtà, nemmeno la nostra realtà interna, e spesso ci basiamo sulla reazione che vediamo sul volto di chi ci sta vicino (che non sappiamo essere separato da noi). Quindi, una reazione divertita ci farà sentire contenti di quello che stiamo facendo, un incoraggiamento ci farà sentire sostenuti, una reazione spaventata ci farà intendere che stiamo facendo qualcosa di pericoloso, e rischia di congelare la nostra spinta a esplorare.

E cosa succede se cadiamo? Il nostro dolore viene sminuito o deriso? Il nostro pianto genera panico e paura? O siamo tranquillizzati e incoraggiati a rialzarci? Dobbiamo imparare a cadere per sapere come rialzarci! Possiamo provare a tornare al bambino che eravamo, e a sostenerlo nel suo moto innovativo e di esplorazione con la forza dell’adulto che siamo.

C’è un famoso detto secondo cui «anche un cammino 1000 chilometri inizia con un singolo passo», dall’accettare quella primissima perdita di equilibrio, quella primordiale caduta in avanti. Verissimo. Ma cosa può aiutarci a accettare la possibilità di cadere? Restando nella metafora del cammino, prima di partire si prepara lo zaino, e nello zaino possiamo mettere tutte le cose che ci possono far sentire al sicuro nel viaggio. Che pesi decidiamo di caricarci e tenerci sulle spalle? Nella mia esperienza di camminatore e, fuor di metafora, di terapeuta, ho osservato che esistono due tipi di pesi “superflui”: zavorre che bloccano e accessori che ci fanno partire. Nella vita psichica appartengono alla prima categoria quell’insieme di credenze su di noi, quei sabotaggi che ci fanno desistere dall’iniziare qualcosa, dall’uscire dalla nostra zona di comfort. «E se succede qualcosa (di male)?», «E se non ce la faccio?» e simili.

Sono pesi accessori, invece, quelle cose che possono sembrare inutili, ma senza cui non partiremmo, che in cammino possono essere, per esempio, un maglione o un pantalone di troppo – e camminando si maledice ogni grammo di più – ma almeno ci permette di andare. «Metti che… meglio…». Fuor di metafora possono essere diversi tipi di comportamenti, anche banali, che per quanto possano sembrare un peso, quantomeno ci consentono di muoverci. Fare un esame solo con una certa maglietta. Andare in un posto evitando una certa strada. Fare un colloquio dopo averlo simulato di fronte allo specchio. Poi potremo lavorare sul perché abbiamo bisogno di quegli “accessori”, ma intanto riconosciamogli che se sono la condizione che ci permette di fare qualcosa e, per quanto condizionati, almeno la stiamo facendo, ci stiamo muovendo.

Spesso non siamo bloccati da qualcosa di realmente presente, ma dal fantasma di un ipotetico fallimento futuro. Temiamo la gravità delle possibili conseguenze future. Ma cosa c’è nel presente? La gravità, intesa come forza che ci tiene radicati a terra e con cui possiamo interagire e spingerci in avanti. Camminare avendo la fiducia che nel nostro cadere in avanti il nostro piede non incontrerà il vuoto, ma la solida Terra.

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