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Perché la noia dei bambini ci fa paura

Articolo. Si parla tanto del valore educativo dell’annoiarsi, ma la verità è che la noia – nostra e dei nostri figli - ci fa sentire colpevoli. Disintossicarci da un mondo che ci vuole sempre produttivi o intrattenuti è un atto sovversivo, e non semplice da portare avanti.

Lettura 4 min.

Quando i miei figli mi dicono che non sanno cosa fare, di solito propongo loro attività estremamente noiose: riordinare i pupazzi, scaricare la lavastoviglie, controllare che ci sia tutto l’occorrente nell’astuccio. La mia è pura strategia: o fanno cose utili, o – pur di non farle – troveranno un altro modo per intrattenersi da soli, magari cercando di non farsi notare da me. Funziona abbastanza.

Quello che so di non voler fare è intrattenerli: va bene che il job title del genitore si è allungato a dismisura (cuoco, nutrizionista, tassista, psicologo, avvocato, insegnante, PR, organizzatore di eventi, infermiere, stylist, allenatore, responsabile Rspp… e di sicuro dimentico molte altre funzioni) ma di diventare anche animatrice non me la sento. Eppure è uno dei tanti crucci del genitore moderno: non riuscire ad alleviare la noia del figlio, non sapere escogitare le giuste attività, non essere un compagno di giochi abbastanza divertente.

Se non facciamo abbastanza, non siamo abbastanza

C’è sempre qualche esperto (qui uno dei miei preferiti) che denuncia come i bambini siano troppo impegnati, e non abbiano più tempo di annoiarsi. Ed è vero: i bambini fanno troppo. Già a 6 anni la scuola è un turno di 8 ore, cui seguono sport, musica, inglese, attività sociali. Io, che a malapena porto il figlio grande a nuoto un’ora la settimana (perché sono pigra e perché anche mio figlio non ha voglia di impegnarsi più di così), capisco però benissimo le ragioni che spingono i genitori ad adottare questo fitto calendario di impegni.

Lo sport? Importantissimo per il corpo e per la mente, specialmente perché i bambini oggi non hanno più modo di muoversi all’aria aperta in libertà. A scuola è ritenuto accettabile non farli andare in giardino appena c’è un po’ di fango, e persino tenerli al banco all’intervallo o fare saltare la lezione di educazione fisica “per punizione”. Dopo scuola, non ci sono i tempi e non ci sono gli spazi per il gioco libero: serve per forza un corso, delle divise, degli orari. Meglio ancora uno sport di squadra, per stimolare la socialità. Se poi fanno agonismo imparano l’organizzazione, lo spirito di sacrificio, la competizione.

Le attività sociali? Anche quelle vanno organizzate e regolate dai genitori, perché gli spazi per i bambini “da soli” non esistono. E per fortuna che ci sono adulti che si prendono a cuore il fatto che i coetanei possano passare fisicamente del tempo insieme, piuttosto che farli rimanere solo nelle loro camerette con un device in mano.

L’inglese? Sarebbe bello lo imparassero a scuola, ma purtroppo questo non è scontato. Abbiamo insegnanti precari che cambiano ogni anno e un sistema scolastico che ha un modo folle di insegnare le lingue. Quindi va da sé che il corso privato di inglese serva.

Musica. Ha un effetto positivo sullo sviluppo emotivo e anche cognitivo. È un lusso perché “inutile”: imparare uno strumento non porta un immediato beneficio competitivo e proprio per questo è appannaggio di chi se lo può permettere. Un po’ come l’equitazione o il greco antico.

Perché privare i bambini di attività utili, belle, formative? Sapendo che poi da grandi di tempo ne avranno ancora meno, che le loro giunture e le loro menti non saranno mai più così flessibili, e che se non imparano il violino ora non lo faranno più. Lo capisco. E in questo contesto il richiamo al valore educativo della noia suona solo ipocrita. Noi non vogliamo che i bambini si annoino, è un sentimento che ci fa paura. Se non facciamo abbastanza, non siamo abbastanza.

La vita interiore

Se siamo abituati – grandi e piccoli – a un programma dettagliato per ogni giornata, se ogni ora è produttiva, se i tempi morti sono annullati dalla presenza dei device (la tv intanto che viene pronta la cena, il telefono quando si è in coda, il tablet al ristorante), trovarsi improvvisamente privi di stimoli esterni è insopportabile.

«Voialtri vi annoiate perché non avete vita interiore», dice il padre di Natalia Ginzburg ai figli in «Lessico famigliare». Ma che valore diamo noi all’introspezione? Alla capacità di stare da soli con sé stessi? Alla contemplazione? Ancora una volta, educare è prima di tutto educarsi, sapere quali valori si vogliono perseguire, darsi delle priorità. Riusciamo ad accettare che fermarsi a guardare le stelle (no, non parlo di un corso di astronomia) sia un’attività importante quanto fare i compiti o lavorare? Che rotolarsi su un prato valga una lezione di judo? Che sapere aspettare che arrivi la pizza al ristorante senza fare assolutamente niente sia una capacità da coltivare almeno tanto quanto la comprensione dell’inglese?

Riusciamo a essere più Maria e meno Marta? «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta» Lc10,41-42.

La rivoluzione della noia

La piccola orfana Mary Lennox, protagonista de «Il giardino segreto», si annoia in casa Craven: non ha niente da fare e nessuno che badi a lei. Ha però un intero palazzo, con stanze sbarrate e giardini proibiti: è facile intuire che la sua noia si potrà facilmente incanalare in qualcosa di proficuo. Per Mary sono l’esercizio fisico e il giardinaggio (attività lecite) ma anche ficcanasare dove non dovrebbe (attività illecite, per quanto perorate dall’autrice).

È propria della noia questa portata sovversiva: non possiamo sapere dove ci porterà, non possiamo incanalarla più di tanto, né essere sicuri che ci piaceranno i risultati che porterà, ammesso che di risultati si possa parlare. Si tratta di accettare che un bambino frigni perché si annoia, e invece di allungargli il tablet aspettare di vedere cosa combina. Spesso niente di eclatante, niente di geniale.

L’ultima volta che ho “costretto” i miei bambini ad annoiarsi insieme è successo che la piccola fingesse di leggere «I viaggi di Giovannino Perdigiorno» sostituendo una parola su due con “puzzetta”, per immenso divertimento di entrambi. Vorrei poter dire che mio figlio grande, lasciato solo, si dedichi ad attività più elevate - complesse costruzioni di Lego, composizioni artistiche, decoupage - ma la verità è che gioca con le carte degli animali o le figurine dei calciatori, immaginandosi dei tornei ad eliminazione da cui emerge il suo preferito.

Questo, almeno, è quello che vedo. Ma accettare la noia è anche accettare che i miei figli hanno una vita interiore cui non ho accesso, o ho un accesso molto limitato. E ricordarmi che ce l’ho anch’io.

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