«Perchè fare il sindaco? Perchè si è innamorati del proprio paese»

Come vincere la disaffezione e il calo nella partecipazione? Con la buona politica, e offrendo esempi e spazi di dialogo con i più giovani.

Viviamo in tempi di forte disaffezione verso la politica e le istituzioni, e il record negativo dell’affluenza alle recenti Europee lo conferma. E diventa allora ancor più importante che nei nostri paesi ci siano persone motivate, impegnate nel volontariato o nell’ambito amministrativo, intente a promuovere il bene comune. Oltre che a migliorare le condizioni attuali, è una presenza che può ispirare altri a fare lo stesso, con un positivo effetto moltiplicatore.

Sui motivi dell’impegno pubblico si concentra l’indagine sociologica che stiamo realizzando con l’Università di Bergamo, ed è in quest’ambito che incontriamo Giuseppe Togni, riconfermato primo cittadino di Cavernago, nella Bassa Bergamasca, al suo terzo mandato consecutivo. Pronto a ripartire con entusiasmo, perchè se uno fa il sindaco «sicuramente - ci dice Togni - deve avere nel cuore la passione per l’impegno pubblico. Io credo che fare politica sia stupendo. Sono stato recentemente all’Istituto Secco Suardo di Bergamo, incontrando ragazzi di quarta superiore, parlando con loro del significato del fare politica. Spesso hanno in testa l’idea di politica presa dalle notizie di giornali e tg con politici che dicono una cosa e ne fanno un’altra. Ma la politica è anche l’impegno di qualcuno che si preoccupa di raccogliermi i rifiuti fuori casa, di accendere le luci fuori casa mia tutte le sere, di asfaltare le strade, di tenere in ordine il parco, di fare in modo che il riscaldamento alle scuole funzioni, che i servizi funzionino... Ecco i ragazzi mi ascoltano e si rendono conto del fatto che c’è un modo di fare politica diverso da quello che spesso hanno in testa».

Quanto è importante il rapporto con i giovani?

Molto. E per questo incontro volentieri i ragazzi nelle scuole, anche in percorsi di educazione civica. Recentemente mi è successa una cosa bellissima: alle elezioni di giugno ho avuto due ragazzi che avevano fatto il baby sindaco e il consigliere nel Consiglio comunale dei ragazzi e che ora hanno deciso di entrare nel Consiglio comunale degli adulti. È un segno concreto che se noi gli mostriamo dei modelli positivi, i ragazzi si impegnano e gli viene voglia di fare politica.

Ma di cosa deve occuparsi la politica sul territorio?

La prima cosa è ascoltare. Quando si fa il sindaco bisogna mettersi in ascolto e sintonizzarsi sui bisogni della propria gente, e questo non è facile. Devi avere la capacità di entrare in quelle situazioni che nessuno ti racconta, e quindi l’elemento principale di un politico è certamente il saper ascoltare.

Il secondo aspetto, che facciamo ancora poco, è una politica attiva sui bisogni delle famiglie perché si continua a dire che la natalità è bassa, però in realtà per le famiglie, a parte la misura dei nidi gratis, non si fa molto... Impegno verso le famiglie, sostegno ai ragazzi portatori di handicap (spesso la famiglia si sente abbandonata). Pure il tema dell’assistenza educativa dei ragazzi nella scuola (un’assistenza che sia vera però), e il fatto che dobbiamo continuare a investire nei servizi: con iniziative culturali per coinvolgere la popolazione, per far capire che ci si può e ci si deve muovere tutti insieme, insistendo sul volontariato.

Come vede la partecipazione nel suo paese?

La nostra è una società che tende molto al personalismo. Ma per fortuna a Cavernago ancora in tanti si dedicano al volontariato, in Parrocchia, nello sport, nella protezione civile, etc: abbiamo più di 20 associazioni. È importante valorizzare queste figure. Noi per esempio abbiamo istituito la benemerenza civica, proprio per far vedere a tutti che esistono persone che si danno da fare per la loro comunità. Non tutti magari faranno l’amministratore, ma la voglia di mettersi a disposizione degli altri c’è ancora e più sono le persone che si mettono a disposizione e più cresce la voglia di emularli.

Perché ha deciso di fare il sindaco?

Bella domanda... Io ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada una persona che mi ha appassionato al Comune. All’epoca avevo 16 anni, a Cavernago c’era il problema discarica, io sono entrato nel comitato anti-discarica e quella è stata l’occasione per capire che in Comune si poteva fare la differenza. Esserci voleva dire poter cambiare il proprio paese. Poi sono stato fortunato, ho incontrato Vittorio Feliciani, che è stato sindaco e che mi ha insegnato a fare questo mestiere. Lì è nata una passione. È da quando avevo 18 anni che faccio il consigliere, poi l’assessore, poi il consigliere di minoranza e adesso mi sono candidato per il terzo mandato. Perché fare il sindaco? Perché si è innamorati della propria città, del proprio paese. Io amo Cavernago con i suoi difetti ed i suoi pregi. L’amore è il motore che ti muove, perché poi il giorno dopo che sei eletto vieni travolto da impegni e responsabilità enormi: se non hai la passione per il tuo territorio getteresti la spugna subito. Devi farti prendere dalla voglia di trasformare, in dieci anni abbiamo fatto tanti interventi e iniziative. In sintesi: l’amore per il paese, la voglia di trasformarlo, la voglia di esserci, di mettere a disposizione i propri talenti sono gli elementi che mi hanno spinto nell’avventura di sindaco. Credo che la vita ti regali tante opportunità, io ho avuto la fortuna di avere un padre e una madre che, nonostante non avessero studiato, mi hanno detto «studia, impara», e poi questo va restituito, va rimesso a disposizione della propria comunità.

Ma dove corre la linea di confine tra interesse personale e bene comune?

È chiaro che quando ci si candida a fare il sindaco c’è anche una componente di ambizione personale, ma allo stesso tempo - come diceva Giorgio La Pira, il grande sindaco di Firenze – credo davvero che, quando poi diventi sindaco, rappresenti l’istituzione, e allora l’interesse personale deve scomparire, cioè non deve proprio esserci in quello che fai. Tutto quello che realizzi è per il bene del tuo Comune.

(a cura di Laura Arrighetti)

Non limitarti a leggere

Sui temi del lavoro come della famiglia, della vita religiosa e della partecipazione politica in queste settimane è in corso in Bergamasca una grande indagine sociologica, voluta da L’Eco di Bergamo e in collaborazione con i sociologi dell’Università di Bergamo. Per capire come e quanto siamo cambiati negli ultimi anni.

Per questo i collaboratori de L’Eco stanno realizzando tante interviste, incontrando testimoni della vita delle nostre comunità. Accompagniamo l’indagine con diversi contributi, ospitando sulle pagine e sul sito de L’Eco pareri, domande e riflessioni. Insieme al contributo di chi, bergamasco, oggi vive e lavora all’estero.

Ma soprattutto chiediamo anche a te di comunicarci il tuo pensiero. Vogliamo conoscere le tue idee, per costruire insieme a te una “missione” per il territorio bergamasco. Puoi scrivere a: [email protected]

Bergamo senza confini

Ogni settimana uno spazio riservato ai tanti bergamaschi in giro per il mondo, e che si confrontano con valori ed esperienze diverse. Le loro proposte e riflessioni sono un contributo alla nostra indagine.

Guardo Bergamo con gli occhi curiosi dei miei figli
Alberto (Danimarca)

Premessa: sono trascorsi vent’anni da quando ho lasciato l’Italia appena laureato in Architettura. Da allora, ho vissuto a Londra, negli Stati Uniti e ora in Danimarca (lavoro nello studio danese BIG-Bjarke Ingels Group, dove sto progettando la nuova Filarmonica di Praga).

Quando tornavo a Bergamo nei primi anni, ero pervaso da un senso di rifiuto per le cose negative che notavo. Avevo appena vent’anni e volevo dimostrare di potercela fare. Ora, quando torno, vedo solo il lato positivo. Guardo Bergamo con gli occhi curiosi dei miei figli e la trovo la città più bella del mondo, nonostante tutto. Nonostante le criticità elencate di seguito, Bergamo è parte di me e ne vado fiero.

Perché ti scrivo? Perché, oltre ad apprezzare la vostra iniziativa, mio padre è un devoto lettore del vostro giornale. Per lui, comprare il giornale tutti i giorni è sempre stato un rituale immancabile.
Ma veniamo al punto..., anzi ai quattro punti della vostra indagine di Missione Bergamo.

1. Famiglia: Copenaghen offre molto alle famiglie con bambini. I servizi e il sistema educativo sono ben strutturati e finanziati. Se i miei figli Idun e Elio decidessero di frequentare l’università, lo Stato li aiuterebbe economicamente a perseguire i loro interessi e diventare indipendenti, ben prima di quanto io abbia potuto fare. Anche se c’è ancora strada da fare per quanto riguarda l’uguaglianza di genere e le pari opportunità, vivo in un quartiere tranquillo dove c’è fiducia tra vicini e i bambini possono giocare liberamente per strada, lasciando le bici slegate fuori dalla porta di casa sempre aperta.

2. Mondo del lavoro: le opportunità di crescita che ho avuto come emigrante e che trovo qui in Danimarca a Bergamo mancano, specialmente per i neolaureati. Abbiamo molti giovani talentuosi, alcuni dei quali lavorano nel mio studio e nel mio progetto. C’è un buon equilibrio tra lavoro e vita familiare. Quando lavoro troppe ore, mi concedono del tempo libero per ricaricare le batterie o trascorrere del tempo con la famiglia. La maggior parte dei genitori qui finisce il lavoro tra le 15 e le 16 e lavorare fino a tardi non è considerato un motivo di vanto.

3. Vita religiosa: poca. Qui ci sono molte tradizioni e celebrazioni mensili fatte di canti, dolci e piccoli riti che non sono necessariamente legati all’aspetto religioso, ma sono un pretesto per stare insieme e divertirsi. Le attività che facevo all’oratorio sono qui organizzate dal vicinato, dalla scuola o da altre istituzioni non religiose.

4. Partecipazione politica: seguo più da vicino la politica locale che quella nazionale. Apprezzo davvero tanto il fatto che qui si possa andare ovunque in bicicletta con relativa sicurezza. Anche se si sa che Copenaghen è sempre stata all’avanguardia, è una libertà da preservare sostenendo le istituzioni locali. Se fossi a Bergamo, forse starei al fianco del mio amico e compagno di università Stefano (diventato assessore ad ambiente e mobilità) nella lotta contro i mulini a vento o meglio in favore dei mezzi di trasporto alternativi alla macchina. Mio padre, che rispecchia la demografia del bergamasco medio, non approverebbe questa scelta o il traffico limitato nel centro.

Un cordiale saluto. E forza Atalanta!
Alberto Menegazzo (Danimarca)

Apritevi di più alle nuove sfide
Elisabetta (Bruxelles)

Cosa mi manca maggiormente? Negli ultimi dieci anni ho vissuto in tre paesi diversi dall’Italia: prima in Danimarca, poi in Austria ed infine in Belgio, dove mi trovo tutt’ora. Ci sono molte cose e persone di cui sento particolarmente la mancanza a Bruxelles: le montagne, di cui sono una grande appassionata, la mia famiglia, gli amici, la cucina italiana e il sole, che per almeno sei mesi all’anno in Belgio non si vede.

L’essere bergamaschi per me consiste nell’essere resilienti, nel non darsi per vinti di fronte alle avversità, che siano più grandi di noi, come la pandemia, o più individuali e personali, come lo possono essere un licenziamento, una malattia grave o altre difficoltà della vita di tutti i giorni. Il bergamasco vive secondo il motto “Mola mìa” e tiene duro fin che può, non si arrende di fronte a nulla e se cade sei volte, se ne rialza sette.

Guardando Bergamo dall’esterno, noto però anche alcuni limiti. L’orgoglio di non volersi mai arrendere a volte si trasforma in incapacità di accettare le sconfitte, di lasciare nel passato quello che vi appartiene e di guardare al futuro con un po’ più speranza. Quando torno a Bergamo (anche in Italia in generale) ho spesso l’impressione che il tempo si sia fermato sotto certi aspetti, mentre all’estero le persone si sentono più coinvolte e responsabili della creazione di un’avvenire migliore.

Bergamo in sé è una provincia splendida, i cui paesaggi sono invidiati e le cui tradizioni sono fonte di ammirazione per gli stranieri. Tuttavia, è una provincia che stenta ad aprirsi al mondo e che, forse troppo inorgoglita della propria bellezza, non permette al mondo di varcare le proprie “mura”. Con ciò non intendo dire che la provincia non attiri turisti stranieri o che debba investire di più nel settore turistico. L’apertura al mondo di cui parlo dovrebbe essere nella testa delle persone, che, al contrario, talvolta vedono nel diverso, nel “non-conosciuto” o nell’altro una preoccupazione in più, un rischio da non correre o una minaccia.

Invece, in città come Bruxelles (dove trovare un belga indigeno è un fenomeno più unico che raro) ciò che è “diverso” o non originario del luogo è fonte di curiosità e rappresenta un’occasione per conoscere qualcosa di nuovo.
Elisabetta Confalonieri (Bruxelles)

Bergamo mi manca, ma la porto con me
Stefano (Londra)

Ho avuto l’onore e il privilegio di chiamare Bergamo la mia casa per i primi 37 anni della mia vita. Lasciando da parte l’infanzia trascorsa tra le mura storiche di Città Alta, ho poi deciso di mettermi in gioco in cerca di nuove sfide per esplorare il mondo e scoprire nuove prospettive.

La mia avventura inizia in Normandia (Francia) nel 1997 , dove ho iniziato a cogliere i profondi contrasti tra la ricca storia bergamasca e la cultura francese. Poi mi sono trasferito sulla Costa azzurra, a Cassis, ma da quasi un decennio vivo in una delle capitali cosmopolite del mondo: Londra. Qui, tra l’effervescenza multiculturale della città e la frenesia della vita urbana, ho trovato un nuovo equilibrio tra il mio essere bergamasco e l’apertura mentale necessaria per adattarmi a una realtà così diversa.

Essere bergamaschi significa essere cresciuti in un ambiente di straordinaria bellezza e cultura, circondati da monumenti storici e paesaggi mozzafiato che hanno plasmato carattere e visione del mondo. Tuttavia, è solo lasciando la nostra città natale che apprezziamo appieno la sua unicità.

Ogni volta che torno a Bergamo mi colpisce la sensazione di tornare alle radici, di riconnettermi con le mie origini. Eppure, allo stesso tempo, mi rendo conto di quanto sia cresciuto e cambiato grazie alle esperienze vissute al di fuori. Ho imparato ad apprezzare le differenze culturali e ad adattarmi a nuove prospettive, portando con me sempre il bagaglio di valori e tradizioni che mi hanno formato a Bergamo.

Quindi, quando mi chiedono in cosa Bergamo deve cambiare, penso alla necessità di preservare il suo patrimonio storico e culturale mentre si adatta alle sfide e opportunità del mondo moderno. La città deve rimanere fedele alla sua identità unica, ma anche abbracciare l’innovazione e l’inclusione per prosperare nel futuro.

E cosa può insegnare Bergamo? Penso alla sua resilienza, al suo spirito comunitario e alla sua capacità di adattamento. Qualità che ho portato con me nel mondo, e che continuo a valorizzare e promuovere ovunque vada.

Ci sono momenti in cui sento la mancanza di Bergamo più intensamente che mai. Piccoli dettagli della vita quotidiana , ma che riportano alla mente ricordi preziosi . Mi mancano le dolci risate e le gioiose giornate con le mie tre figlie e i miei adorabili nipotini. Le loro voci allegre e il calore della loro compagnia sono irripetibili e mi fanno sentire una profonda nostalgia quando sono lontano da loro. E anche le chiacchierate rilassate con i miei fratelli, con qualche parola in dialetto bergamasco che aggiunge familiarità e autenticità ai nostri dialoghi. E che dire della buona cucina bergamasca? Polenta e brasato delle trattorie locali sono un’esperienza culinaria che non si può replicare altrove. Così come l’emozione di un giorno sulle piste da sci, o sul meraviglioso lago d’Iseo, gioiello naturale che incanta con la sua bellezza mozzafiato. Sensazioni di pace e serenità che solo luoghi magici offrono.

In definitiva, sono tante le cose di Bergamo che mi mancano, ma è proprio questa nostalgia che mi spinge a riconnettermi con le mie radici. Essere bergamasco all’estero è allora un privilegio e una responsabilità, una costante ricerca di equilibrio tra radici e nuove sfide che ci aspettano. Un’opportunità unica per condividere la bellezza e la ricchezza della nostra città con il resto del mondo, portando con noi sempre il nostro orgoglio bergamasco.
Stefano Brozzoni (Londra)

Andata e ritorno, cosa ho imparato
(Andrea)

Ho vissuto all’estero, in Portogallo, per diversi anni, e ci sono due concetti interessanti che mi piacerebbe che la gente sapesse.
Il primo è che andando a vivere all’estero ho imparato, come si usa dire, ad essere un “fratello del mondo”. Noi spesso ci troviamo a giudicare le persone di colore, gli extracomunitari, mentre in quel caso ero io nella loro condizione (e cioè a trovarsi a vivere in un contesto nuovo), e ho così visto come si vive stando “dall’altra parte”.

E quindi ho imparato a fraternizzare con tutti perché c’è il buono in Italia, c’è il buono in Africa, in Afghanistan, come c’è il cattivo in Italia, in Afghanistan e in Portogallo: ecco quindi il tema della fraternità collegato all’esperienza che ho vissuto, per non giudicare le persone dall’esteriorità, ma provare innanzitutto a conoscerle, per quello che realmente sono.

Il secondo aspetto ci porta invece al “bergamasco” che c’è dentro di me, e che alla fine è il motivo che, ad un certo punto, mi ha fatto ritornare in Italia, perché comunque mi mancavano alcune cose... Noi qui a Bergamo abbiamo la fortuna di abitare in un posto con mille possibilità, per il lavoro o per i viaggi, ad esempio, mentre io vivevo su un’isola di 40 chilometri quadrati con 4 mila abitanti: bellissima, certamente (si chiama Porto Santo all’Arcipelago di Madeira), però lì mi sentivo, appunto, “limitato”. La definivo infatti una “prigione dorata”: dorata perché effettivamente si viveva benissimo, da un certo punto di vista non mancava nulla, però era “limitata”, non potevi uscire da lì…

Ecco, sono queste le due cose che vorrei che le persone sapessero: tutti dovrebbero fare un’esperienza come la mia, andando quindi all’estero anche solo per un breve periodo, per capire come ci si sente ad essere stranieri in una terra diversa dalla tua. Senza contare il fatto che è molto interessante conoscere una popolazione diversa, imparare una lingua nuova: è un po’ come rinascere, come tornare ad essere bambini. Imparare la lingua, conoscere le persone, socializzare, crearti nuovi legami, nuove amicizie, nuovi amori: è davvero un po’ come rinascere.

Ma insieme a questo c’è la grande fortuna che abbiamo di essere bergamaschi, e che ci offre mille possibilità. Abbiamo il mare vicino, montagne, laghi, abbiamo di tutto insomma... Ecco i due insegnamenti di vita che l’esperienza vissuta all’estero mi ha regalato.
Andrea Ghilardi

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