E' un Nobel che sa di rivincita, dopo anni di frustrazioni e porte in faccia, quello conquistato dalla biochimica ungherese Katalin Karikó, già acclamata sui social come un esempio di resistenza e tenacia per le scienziate di tutto il mondo dopo essere stata premiata con il massimo riconoscimento per la Medicina insieme all'americano Drew Weissman, l'altro pioniere dei vaccini a mRna. Una tecnologia che ha già salvato milioni di vite durante la pandemia di Covid-19 e che molte altre ne potrà salvare in futuro nella lotta contro i tumori.
I loro studi sono andati avanti nonostante "l'iniziale scetticismo della comunità scientifica e le difficoltà di finanziamento", come ha ricordato Giovanni Maga, direttore del dipartimento di Scienze biomediche del Cnr. A pagare il prezzo più alto è stata proprio Karikò. Nata nel 1955 in una cittadina ungherese a un centinaio di chilometri da Budapest, figlia di una contabile e di un macellaio, aveva 30 anni quando decise di fare la valigia e partire per gli Stati Uniti, portando con sé 1.200 dollari nascosti nell'orsacchiotto della figlia di due anni. Approdò prima alla Temple University di Philadelphia e poi all'Università della Pennsylvania, dove rimase fino al 2013 non senza difficoltà. Si ritrovò a lottare contro l'indifferenza e lo scetticismo dei suoi superiori, non riuscendo a vincere quei finanziamenti che le avrebbero permesso di ottenere l'indipendenza che le serviva nella ricerca. Senza mezzi adeguati, si ritrovò perfino a riportare a casa le attrezzature di laboratorio rotte affinché il marito le riparasse.
Nel 1997 la svolta, con la nascita della collaborazione con Drew Weissman, allora professore di immunologia. E' del 2005 il loro lavoro decisivo sulle modificazioni chimiche dell'Rna che avrebbero permesso di introdurre questa molecola nelle cellule senza causare una pericolosa infiammazione. Come raccontò anni dopo Weissman, lo studio venne rifiutato da Nature e Science, una scelta che oggi le ha fatte finire nel mirino delle critiche di molti ricercatori sui social. Seguirono anni difficili, in cui le loro ricerche sembravano non suscitare interesse nella comunità scientifica.
Nel 2013, per Karikò, è poi arrivato il doloroso addio al mondo accademico. "Sono stata costretta a lasciare l'università", racconta nell'intervista rilasciata alla Fondazione Nobel. E' stato un periodo "spiacevole", dice ancora Karikò, ma "ho sempre avuto il sostegno di mio marito" e "alla fine sono andata in Germania". Così è cominciata la sua seconda vita professionale come vice presidente della BioNTech Rna Pharmaceuticals, l'azienda che ha gettato le basi del vaccino a mRna contro Covid-19. A guidarla nel suo lungo e contorto percorso è stato un libro che lesse quando aveva 16 anni, "dedicato alle cose che devono e possono essere cambiate". Lei a suo modo ha seguito quell'insegnamento, affiancata da altre due donne speciali: la mamma, da tempo convinta che prima o poi avrebbe vinto il Nobel, e la figlia, due volte medaglia d'oro olimpica nel canottaggio, che l'accompagnerà alla cerimonia di consegna del premio a dicembre.
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