93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Mobrici, vivere il presente per smettere di avere paura del futuro

Intervista. Reduce dai sold out di Milano e Roma, il cantante milanese è pronto a venire a Bergamo, all’interno dell’’arena di NXT Station, per presentare il suo ultimo disco e (di)mostrare che diventare grandi significa credere nell’amore in modo diverso

Lettura 5 min.

Mobrici prima di essere un cantante è innanzitutto Matteo, un ragazzo di trentaquattro anni che, nelle sue canzoni, racconta quello che prova per dargli forma, significato e nome. E così che si è presentato durante la nostra chiacchierata, come uno che appartiene fieramente alla «Generazione Y» (la mia), che non si sente fuori posto, non ha fretta, ma, per citare Ennio Flaiano, si sente coi piedi fortemente ancorati nel presente.

Quando cambio prospettiva e penso a Mobrici il cantautore, non posso fare a meno di ricollegarmi ai «Canova», il gruppo che aveva fondato nel 2013, a quella «Vita sociale» (uno dei loro singoli) che cantavo a squarciagola mentre mandavo la mia a farsi benedire, cercando conforto in canzoni da sentire rigorosamente nelle cuffiette, che mi aiutassero a sentirmi più compresa e meno sola. Adesso sono passati dieci anni. Siamo cresciuti e non c’è più tempo di trovare scappatoie, siamo «Figli del futuro», che devono prendere decisioni e che vivono domandandosi «se avere figli o non averne nessuno».

Il secondo disco di Mobrici «Gli anni di Cristo» è un album assolutamente pop , è un disco romantico, pieno di interrogativi, di dubbi e speranze. C’è una promessa all’amore che verrà, c’è la nostalgia, c’è la voglia di vivere la vita così com’è, a piccoli passi, senza domandarsi continuamente se domani ce la faremo. Perché forse crescere, avere trent’anni, non è poi così diverso da quando ne avevi sedici e tutti gli ostacoli ti sembravano insormontabili. Ma se ti riguardi indietro e pensi a com’era con lo sguardo di adesso, capisci che avevi tutto per esser felice, ma non lo sapevi. La differenza è che ora hai trent’anni e lo sai.

Così, quando probabilmente tra dieci anni ci riguarderemo indietro e penseremo a ciò che siamo, ora sapremo che nella vita il segreto per smettere di aver paura del futuro è buttarsi a capofitto nel presente. Parola di Mobrici.

Lo abbiamo intervistato.

CP: Il tuo ultimo disco si intitola icasticamente «Gli anni di Cristo». Un’età “di mezzo”, in cui non siamo più giovani e non ci sentiamo neppure troppo adulti. Tu come descriveresti questa fase della tua vita?

MM: Guarda, io non ho molta paura del futuro e non ho neanche nostalgia dei sedici anni, in un certo senso. Mi sento molto bene nel presente. Diciamo che si è un po’ diffusa l’idea, anche parlando con tanti miei amici coetanei - e penso che sia una deriva che arriva dai social - che a trent’anni uno sia già vecchio, ma in realtà si è solo all’inizio. Io mi sento dentro al presente, alla mia età, alle esperienze che ho vissuto e che hanno dato forma al mio carattere e sono molto curioso di quello che succederà in futuro. In questo disco volevo esattamente fotografare il periodo della mia vita in cui ho scritto queste canzoni, che è stato lo scorso anno. Mi è sembrato giusto mettere una sorta di punto: in mezzo a una società come questa, c’è il rischio di sentirsi un po’ persi, fuori luogo.

CP: La canzone «Luna», mi ha ricordato la canzone «Anna e Marco» di Dalla. Come la descriveresti se dovessi immaginare una risoluzione per la ragazza di cui parli?

MM: Ho avuto un incontro di quaranta secondi con questa ragazza che, dopo un concerto, mi ha chiesto un abbraccio e mi ha detto che avrebbe voluto smettere di vivere. Questa immagine me la sono portata dietro per un po’ di mesi, finché non ho scritto la canzone. Non so il suo vero nome e non si è nemmeno palesata quando è uscito il pezzo. Non ho idea di dove possa essere ma il bello delle canzoni è forse proprio quello: solidificare delle cose e immortalarle per sempre. Non so dove sia, ma spero di poterla rivedere.

CP: «Sofia», racconta un amore non corrisposto. Possiamo intendere le canzoni come una sorta di antidoto per esorcizzare il dolore e in questo caso la delusione?

MM: Io riesco molto più facilmente a dire quello che penso quando canto. Quindi, anche quando sono da solo con uno strumento, riesco a comunicare anche a me stesso delle cose che magari nella vita di tutti i giorni faccio fatica a dirmi. Non trovo che sia un approccio da cura. La musica è per me una vera e propria modalità comunicativa per dare un’estetica a dei pensieri a delle idee, per comprenderle, visualizzarle. E questa cosa può essere un aiuto, come anche una croce. Perché, nel mio caso, ogni volta che le ricanto, anche se si tratta di canzoni di sei anni fa, rivivo tutte le sensazioni che mi riportano al passato. Facendo canzoni devi obbligatoriamente sempre fare i conti con quello che è successo prima, anche se ti imponi di guardare avanti.

CP: Cosa è cambiato e come sei cambiato dal tuo primo album ad oggi? Ti senti ancora un bambino che sente le cose più forte degli altri?

MM: Questa è una sensazione che mi accompagna da quando sono piccolo. Ho la fortuna di avere molto tempo libero e quindi ho la fortuna di pensare a fondo. Non a caso si dice che il lusso di oggi sia il tempo. Il primo disco era “figlio” del lockdown, di due anni particolari dove tutto era difficile, anche la registrazione in studio con le mascherine. Quel disco è forse più intimista, scritto da un ragazzo che vive da solo, che ha a disposizione solo gli strumenti coi quali poter parlare. Sicuramente una differenza sostanziale la fanno le esperienze, mi sento più maturo e adesso la mia curiosità va a al tipo di persona che sarò da qui a due anni.

CP: Il tuo disco, come tu stesso hai detto, è pieno di domande, nasce dall’urgenza di raccontare ciò che hai dentro. Qual è la tua più grande paura?

MM: Probabilmente ho paura di non essere ascoltato, non a livello artistico. Mi riferisco alla possibilità di dire la mia. Sicuramente il timore di non poter esprimere la mia opinione mi spaventa, anche se in un Paese come questo dubito che possa succedere.

CP: Che dimensione trovano le tue canzoni nei live? Ce un pezzo che ti avvicina particolarmente al pubblico?

MM: Devo dire che durante i live sento il coinvolgimento e la connessione con il pubblico in tutte le mie canzoni perché sono vere, figlie della vita, nate in un modo semplice. Il mio non è un progetto discografico, quella è una cosa che viene dopo. Io sono innanzitutto sono un ragazzo che scrive canzoni. Quindi quando incrocio gli sguardi del pubblico, sento le mie parole che escono dalle loro bocche, è lì che si chiude il cerchio. Suono anche i brani pubblicati coi «Canova»: c’è un legame abbastanza forte con chi mi viene a sentire perché in queste canzoni non c’è anche un po’ la loro vita.

CP: Hai scritto una canzone dedicata al tuo amore del futuro. Per l’occasione hai invitato a cantare Vasco Brondi. Quali sono le tue aspettative nei confronti dell’amore?

MM: Nella pratica nessuno. Ho una visione del sentimento forse più adulta di quella tipica dell’adolescenza. Diciamo che ho un’immagine in testa molto più robusta. Quello che mi auguro è che sia un rapporto duraturo, basato soprattutto sulla stima provata nei confronti dell’altra persona. Penso che sia un ingrediente delle amicizie, indispensabile per andare avanti. Da questo punto di vista, mi andava di lanciare una sorta di messaggio a una persona del futuro che magari arriverà o magari no, piuttosto che pensare a qualcuno che non c’è più. Ho collaborato con Vasco in virtù dell’amicizia e della stima che appunto ci lega ed ero certo che avrebbe colto il messaggio e l’avrebbe fatto suo. E così è stato.

CP: In «Revolver» citi la morte in contrapposizione alla vita. Che rapporto hai con la fine?

MM: Più che con la fine, ho una relazione forte col presente. Cerco sempre di vivere l’adesso senza pensare a ciò che è stato e che sarà. Chiedo alla vita di darmi la possibilità di viverla a pieno ora, senza pensare a quello che possano dire gli altri, cercando di essere nel presente. Fare tanti programmi non ha senso, dato che qualsiasi agente esterno potrebbe rovinare tutti i piani in qualsiasi momento, come abbiamo visto.

CP: «Stavo pensando a te» è una cover di Fabri Fibra, canzone che avresti voluto scrivere come hai dichiarato Se ti chiedessi di citarmi altri tre brani che rientrano in questa descrizione?

MM: «Ancora tu» di Battisti sicuramente rientra in questo elenco, «Notte prima degli esami» di Venditti e poi ti dico anche «Generale» di De Gregori. In particolare le ultime due canzoni che narrano di un paese che non c’è più e di una società che sarebbe impossibile replicare.

Approfondimenti