Ho conosciuto Miglio nel 2022. O meglio, l’ho vista per la prima volta mentre si esibiva durante un concerto di musica indipendente a Bologna. Non sapevo chi fosse, non avevo ascoltato niente di suo prima di allora. E forse è stato proprio quel modo così spontaneo di riscoprire la musica, senza mediazioni, senza filtri, che mi ha fatto arrivare dritto in faccia tutto il suo carisma, la sua urgenza e le esperienze che riusciva a raccontare in musica, senza mettere filtri tra sé e quello che comunicava a chi aveva di fronte.
Ho rivisto Alessia Zappamiglio (nome all’anagrafe di Miglio) sul palco tre anni dopo, qualche settimana fa, a Bergamo. Oggi ha già due album all’attivo (l’ultimo si intitola «Futuro Splendido»), si è portata a casa diversi premi, ma in lei ho ritrovato la stessa voglia di raccontare chi è. Con la determinazione che trasuda, ancora, nelle sue metriche, negli arrangiamenti sperimentali, nella visione di chi parte dalla lucida consapevolezza del decadimento culturale, sociale e umano che stiamo attraversando. Per farsi bandiera di una musica come motore propulsore di un’energia travolgente, di un ritmo ancestrale che ci faccia urlare a gran voce che ha ancora senso sperare nel futuro.
L’abbiamo intervistata.
CP: Come nasce l’idea di combinare diversi generi musicali come la new wave, l’elettronica e la club culture al cantautorato postmoderno?
MI: Nasce certamente in primis da un gusto personale e poi da un lavoro di ricerca molto approfondito e meticoloso riguardo al suono. Lo studio che ho fatto con Marco Bertoni, col quale ho prodotto il disco, ci ha condotto verso esperimenti di ogni tipo: dal suono di un rullante specifico a tutta la gestione dell’elettronica, al trattamento della voce che doveva venire fuori con un effetto specifico. Alla fine sono confluite insieme queste correnti musicali che credo sorreggano bene anche il peso delle parole presenti in questo lavoro. L’idea che qualcuno possa muoversi sopra questi brani, seguire il tempo e i suoni e nel mentre ascoltare o cantare parole di un certo tipo e che hanno un certo valore, è qualcosa di molto forte per me.
CP: Come definiresti il tuo percorso artistico dal tuo primo EP «Manifesti e immaginari sensibili» a «Futuro Splendido»?
MI: Faticoso, impegnativo, doloroso, altalenante. Ma alla fine è sempre accompagnato da molta gioia.
CP: Qual è il significato che si cela dietro il titolo del tuo ultimo album «Futuro splendido»? Che cos’è per te il futuro?
MI: «Futuro splendido» è in completa antitesi con il suo significato letterale. La parola «futuro» tornava sempre nei brani, ma avevo bisogno di accostarci altro, così è arrivato l’aggettivo «splendido», ma in realtà è abbastanza provocatorio. Al momento, di splendido attorno non vedo molto e parlo andando oltre il mio giardino, parlo di condizione esistenziale all’interno di una società che è sempre meno attenta e sempre più avida. Nel mezzo ci sono le cose e le persone preziose a cui aggrapparsi e forse è da qui che resiste la speranza che qualcosa di meglio possa accadere nel futuro.
CP: Quando parli di «Sexy solitudini», definisci la solitudine «romantica e decadente». Puoi approfondire questo concetto?
MI: La solitudine può essere una condizione di scelta e non deve avere una necessaria accezione negativa. Può essere intermittente e puoi scegliere di viverla nei momenti che ritieni opportuni. Personalmente nella solitudine sono riuscita a fare cose belle e importanti, è per me un momento necessario e contemplativo.
CP: Qual è secondo te l’antidoto per mantenere relazioni autentiche in un mondo che è progressivamente diventato schiavo dell’immaginario collettivo?
MI: Non penso di avere una risposta a questa domanda. Sto cercando di capirlo anche io. È sempre più difficile andare in profondità e cercare di creare connessioni vere, senza intralci e in modo trasparente. Siamo vittime di questa società liquida e i rapporti umani non vengono messi in primo piano. O almeno non risultano una priorità. Vedo sempre più un’aderenza a canoni prettamente estetici, all’apparenza, ci sono pochi contenuti nelle parole delle persone e questo mi spaventa molto.
CP: Parliamo della traccia «Pestaggio» che cita Antonio Gramsci e parla di oppressione e violenza. Qual è stata la tua ispirazione per scrivere su questi temi?
MI: «Pestaggio» nasce proprio dal discorso fatto poco fa nella precedente domanda. Se vado oltre il mio giardino e al mio piccolo nucleo, oltre alla mia bolla, mi rendo conto che siamo circondati da brutalità costanti e quotidiane. «Pestaggio» nasce da questa presa di coscienza, dopo aver assistito all’ennesimo episodio di estrema violenza, di oppressione e di negazione della propria libertà di espressione. È un fatto culturale, se non si riparte dalla cultura non può esserci miglioramento individuale.
CP: Le tue canzoni sono piene di immagini e visioni. Come trasformi le tue idee e le tue emozioni in musica?
MI: La musica è un mezzo artistico potente e a me serve per comunicare meglio, penso di riuscire a comunicare come voglio attraverso la musica, è sempre stata uno strumento fondamentale per me. La creazione nasce dalla sperimentazione, dal continuare a fare ricerca, sia a livello musicale che testuale.
CP: Hai ottenuto diversi riconoscimenti e premi per la tua musica. Qual è stato l’effetto di questi successi sul tuo processo creativo?
M: I premi, come diceva De André, vanno a riempire quella componente «rozza» di egocentrismo che è presente in ognuno di noi, fanno piacere, confermano, ci rassicurano. Ma andrei oltre i premi in sé, anche perché sono meccanismi particolari che poi in alcuni individui creano un senso di competizione, dando vita ad una contrapposizione tra chi vince e chi perde. Fare arte non deve essere rassicurante, deve smuovere, deve destabilizzare e credo che la cosa più importante sia riuscire a portare la propria musica davanti a più persone possibili e riuscire ad avere il proprio nucleo di persone che vogliono ascoltare e condividere la tua musica.
CP: Che cosa significa essere una musicista donna e come ha inciso nel tuo percorso artistico?
MI: Il problema è che non dovrebbe incidere sul mio percorso artistico il fatto che io sia appartenente a un genere piuttosto che ad un altro, ma purtroppo questo è un grosso fardello che ci portiamo dietro da sempre. Anche in questo caso si tratta di un fatto culturale e di strutture e pregiudizi che si sono inseriti negli «immaginari collettivi» per tantissimo tempo, con la figura della donna sempre catalogata in un determinato modo, definendo a priori ciò che è in grado o non in grado di fare. Essere una musicista significa che spesso durante i live o un soundcheck puoi incontrare tecnici che non si rivolgono direttamente a te ma alla figura maschile (nel caso di musicisti che suonano con te) dando per scontato che tu, come donna, magari te ne intendi meno. E questo è solo un esempio dei tanti. Purtroppo esistono situazioni simili, ma devo dire che esistono anche contesti nei quali questo gap culturale è stato, per fortuna, superato.
CP: Dopo aver aperto per diversi artisti importanti, adesso sei tu a essere in tour. Come ti senti a essere al centro dell’attenzione e cosa prevedi per il tuo futuro musicale?
M: Avere la possibilità di portare la propria musica su un palco è tra le cose più preziose e potenti che ci siano. Il futuro, come avete inteso, non so bene individuarlo ma sicuramente vorrei fosse fatto di arte e sperimentazione.
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