Lucio Parenzan, un battito lungo cent’anni

L’ANNIVERSARIO. Il 3 giugno 1924 nasceva il grande cardiochirurgo che ha portato Bergamo nel mondo. Lorini: «Trovava e faceva crescere i giovani. Come Gasperini». Ferrazzi: «La sua eredità patrimonio di tutti».

Fa ancora battere il cuore, il suo ricordo. È l’emozione viva di una memoria che impasta scienza e vita, medicina e sorrisi d’umanità. Nasceva cent’anni fa, il 3 giugno 1924, Lucio Parenzan, il cardiochirurgo che ha rivoluzionato la specialità pediatrica in Italia, portando il mondo della medicina a Bergamo e Bergamo nel mondo. Soprattutto, colui che ha dato concreta speranza – una cura, un trapianto, nuova vita – a chi sembrava non averne più. Il secolo lungo di Parenzan è un’eredità diventata patrimonio comune, a ormai dieci anni dalla sua scomparsa avvenuta il 28 gennaio 2014. Un uomo di mondo sin dalla sua biografia: nato a Pirano, allora Istria italiana e oggi Slovenia, studia tra Firenze, Milano e Padova, si specializza tra la Svezia e gli Stati Uniti, infine diventa «grande» in Italia ma sempre confrontandosi con il meglio della scienza globale.

È a Bergamo che lega il suo nome: agli Ospedali Riuniti dirige la Divisione di Chirurgia pediatrica e Cardiochirurgia dal 1964 al 1994, dal 1993 al 2010 è direttore dell’International Heart School con sede alle Gavazzeni di Bergamo, dal 1998 per dieci anni è anche direttore scientifico di Humanitas Gavazzeni. Le pietre miliari della sua carriera si traducono in vita nuova per tantissime persone, infiniti bimbi: è sua l’intuizione chirurgica che porta alla cura della tetralogia di Fallot, la patologia dei «bambini blu», ed è sempre lui a eseguire nel 1985 il terzo trapianto di cuore in Italia (il primo a Bergamo). Quindicimila interventi, con oltre 350 trapianti, disegnano il riassunto di una carriera unica. Unica, grazie anche all’amicizia, prima ancora che alla collaborazione, con il grande cardiologo bergamasco Giorgio Invernizzi, senza il cui aiuto non sarebbe mai riuscito a cogliere i grandi risultati raggiunti in carriera.

Una lungimiranza unica

Luca Lorini, oggi direttore del Dipartimento di Emergenza Urgenza e Area critica del «Papa Giovanni», l’ultimo dei suoi allievi, tratteggia una metafora per raccontarne la capacità di visione: «Parenzan è l’uomo che ha inventato internet prima che internet ci fosse. Quando leggeva un articolo scientifico su una rivista, lui mandava un allievo a vedere quella nuova tecnica o quel nuovo farmaco, oppure portava quel medico fisicamente qua a Bergamo per una settimana per insegnare: così la conoscenza progrediva». Per Lorini, Parenzan è stato «la sliding door della mia vita: mi incontrò in un congresso internazionale a Baveno nel 1988 e mi disse di venire a Bergamo. Nel calcio, oggi lo paragoneremmo a Marotta o a Gasperini: sapeva trovare il giovane, farlo crescere, fare spogliatoio. Quando ancora nessuno lo faceva, ha rivoluzionato la medicina sotto due aspetti: per la capacità di costruire dei team e per l’importanza della superspecializzazione».

Quella tra il 22 e il 23 novembre 1985 resta una notte fissata nella storia, il momento del primo trapianto di cuore di Bergamo: «Ricordo che c’erano più di 120 giornalisti fuori dalla sala operatoria – racconta Paolo Ferrazzi, componente del team, oggi direttore scientifico proprio dell’International Heart School e direttore del Centro per la Cardiomiopatia ipertrofica e le Cardiopatie valvolari del Policlinico di Monza, fino al 2013 alla guida della Cardiochirurgia del “Papa Giovanni” -. La sera successiva volevamo festeggiare quel traguardo, ma all’una di notte telefonarono dal Centro trapianti: c’era già un altro donatore, era già tempo del secondo intervento. Avevamo appena scalato l’Everest ed eravamo pronti a scalarlo nuovamente, era solo l’inizio di una storia di grande successo. L’eredità di Parenzan è diventata un patrimonio comune che si legge negli enormi vantaggi per la salute dei tanti pazienti e per la crescita formidabile della specialità cardiochirurgica. L’International Heart School fu un’altra sua grande intuizione estremamente moderna: sarebbe orgoglioso di come ancora oggi quella scuola sforna 10-12 studenti all’anno di grande valore».

In Parenzan «c’era un potenziale umano straordinario – sottolinea il cardiochirurgo Vittorio Vanini, per oltre vent’anni al fianco di Parenzan –. Ci ha guidato verso un livello di conoscenza ed esperienza che pochi hanno avuto al mondo. Rispondeva al telefono a qualsiasi ora del giorno e della notte. Una volta ero preoccupato per paziente che stavo operando, lui mi rispose: “Non devi fare altro che essere te stesso”. È stato un maestro per tantissimi».

Oltre il camice

Di Parenzan, c’è una frase che Giuseppe Locatelli – a lungo primario della Chirurgia pediatrica dei Riuniti e poi primario emerito del «Papa Giovanni», autore del primo trapianto di reni eseguito a Bergamo – porta con sé come bussola: «Il professor Parenzan ripeteva spesso: “Non allontanarti mai se non hai visto il risveglio”. E lui restava veramente per vedere il bambino al risveglio dall’anestesia. Oggi ci sono tanti strumenti molto sofisticati che ti dicono come stanno i pazienti dopo un intervento; tutti molto utili, ma allora impensabili. Ci aveva insegnato a leggere il volto dei bambini, a capire le loro sofferenze o i loro miglioramenti dagli sguardi e dalle pieghe del volto. E poi ci mettevamo tanto amore e tanta pazienza. Anche questo mi ha insegnato Lucio Parenzan».

«Il professor Parenzan ripeteva spesso: “Non allontanarti mai se non hai visto il risveglio”

Il cardiochirurgo Roberto Tiraboschi ha vissuto al fianco di Parenzan la parabola di questa rivoluzione: era nell’équipe del primo trapianto del 1985, e ancora prima – anno 1976 – nel team con cui Parenzan eseguì un intervento su un bimbo, Pasqualino De Vita, in diretta Rai, qualcosa di allora impensabile. «Quando iniziammo c’erano ancora le siringhe di vetro e non c’era il cardiogramma, i primi interventi duravano un giorno intero: si stava ancora costruendo la tecnica, e la forza di Parenzan è stata quella di invitare a Bergamo i migliori luminari per darci l’occasione di imparare. A Bergamo creò il primo polo di cardiochirurgia pediatrica d’Italia, con pazienti da tutta Italia: ricordo che insieme a Giancarlo Crupi (altro cardiochirurgo di fama, ndr) andavamo fino in Sicilia a visitare pazienti, si radunavano negli ambulatori dei Comuni e valutavamo anche 100 bambini in due giorni, poi si organizzava il viaggio per chi necessitava dell’intervento. Vedeva sempre avanti». Oltre il camice, in Parenzan «c’era un potenziale umano straordinario – sottolinea il cardiochirurgo Vittorio Vanini, per oltre vent’anni al fianco di Parenzan, nel team del primo trapianto e da tempo impegnato con Tiraboschi nell’associazione The Heart of Children –. Ci ha guidato verso un livello di conoscenza ed esperienza che pochi hanno avuto al mondo. Rispondeva al telefono a qualsiasi ora del giorno e della notte. Una volta ero preoccupato per paziente che stavo operando, lui mi rispose: “Non devi fare altro che essere te stesso”. È stato un maestro per tantissimi».

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