Diciotto giugno 1815. Napoleone esce dalla sua tenda e guarda la pianura infangata davanti a sé: lì si scontrerà con i soldati inglesi e prussiani, nella battaglia che determinerà le sue sorti e quelle di tutta la Francia. Siamo a Waterloo: il grande generale è in inferiorità numerica – quattro anglo-prussiani ogni tre francesi – ma conta sulle sue abilità e sulla sua meticolosa pianificazione. Qualcosa, però, va storto: le truppe britanniche arrivano da Nord Est, e non da Nord Ovest, come invece Napoleone aveva previsto. I cannoni francesi sono del tutto inutili: sono stati posizionati guardando nella direzione sbagliata, e ora non possono colpire i nemici. Forti di questo vantaggio, inglesi e prussiani piombano sulle truppe napoleoniche e le sconfiggono. Com’è possibile che il più grande stratega della storia abbia commesso un errore così madornale? Colpa della mappa che aveva tra le mani: chi l’ha disegnata ha collocato la fattoria dove si erano accampate le truppe britanniche due chilometri più a est della sua reale posizione. Un errore che (forse) ha cambiato la storia dell’Europa.
Quello di Waterloo è solo un esempio dell’importanza delle mappe nella storia e nella geopolitica. Laura Canali, cartografa di Limes , le mappe le conosce bene: disegna le carte della storica rivista di politica internazionale dal lontano 1993. Alle sue opere è dedicata la mostra «107 mila: Dodici mappe geopolitiche per spiegare il mondo in cambiamento», visitabile all’auditorium Modernissimo di Nembro. Il 17 febbraio, alle 21, Canali sarà proprio a Nembro per presentare «L’ordine del caos», il nuovo numero di Limes in uscita a marzo. Con lei abbiamo parlato dell’importanza delle mappe per raccontare il conflitto in Ucraina e quello in Palestina.
La «Nuova Russia» di Putin e il futuro di Kiev
BA: Iniziamo del conflitto russo-ucraino. Putin desidera annettere alla Federazione Russa la «Novorossija», che si trova anche al centro di una delle vostre ultime mappe. Crede che si tratti di un obiettivo realizzabile?
LC: Partiamo con un dato di fatto: in Ucraina ormai non si parla più di una pace vera e propria, bensì di un congelamento del conflitto. La mappa «Novorossija 2.0» rappresenta l’Ucraina secondo Putin, ovvero come il Presidente russo voleva ridurre lo Stato confinante già prima del conflitto: un Paese senza sbocco sul mare, privato delle sue regioni meridionali, con un collegamento terrestre su due lati con l’Ucraina e un corridoio che, passando per Odessa, arrivasse alla Transnistria e alla Bessarabia, altre due zone dove ci sono forti minoranze filorusse. Ma la guerra è andata in modo diverso, ha disegnato una nuova geografia del confine tra Ucraina e Russia.
BA: Qual è questa geografia?
LC: La Russia è avanzata molto meno del previsto, e per giunta meno velocemente di quanto desiderasse. Non è arrivata a Odessa, e sicuramente l’Ucraina non si priverà del suo porto sul Mar Nero, perché così facendo metterebbe a rischio il commercio del grano verso l’Occidente e quello delle terre rare con tutto il mondo. La mappa «Terre ucraine contese» mostra lo stato di fatto del conflitto: i russi si sono presi solo quattro province ucraine, o oblast: Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. E non se le sono nemmeno prese tutte. Di recente hanno avanzato da Nord verso Sud, sono entrati nell’oblast di Kharkiv, ma di pochi chilometri. A un tavolo di pace, probabilmente, proporranno di abbandonare queste terre in favore di un’occupazione completa dei quattro territori che già possiedono quasi per intero. Il collegamento con la Transnistria e la Bessarabia non verrà ottenuto. Ma almeno ci sarà quello via terra con la Crimea.
BA: Un’altra delle richieste della Russia è la neutralità dell’Ucraina. Ma Kiev vuole entrare nella NATO. Chi la spunterà?
LC: Prima del conflitto, Putin temeva un ingresso ucraino nella NATO perché ciò avrebbe significato avere un nemico esistenziale alle porte: è un po’ come se gli Stati Uniti avessero avuto la Russia a Sud, al posto del Messico. Impensabile. Quindi, i russi chiedono un cordone di Paesi nominalmente neutrali – Ucraina e Bielorussia – al confine con l’Unione Europea e con i Paesi NATO. Al momento, è praticamente impossibile che l’Ucraina entri nella NATO, sia per una questione geopolitica – Putin non lo accetterebbe mai – che per una logistica: i Paesi membri hanno un sistema di strade e ferrovie che collegano l’Occidente con il fianco Est dell’Alleanza. L’Ucraina è distrutta, va ricostruita. In una situazione del genere, sarebbe semplicemente indifendibile per l’assenza di infrastrutture.
Una striscia di Gaza «svuotata»
BA: L’altro fronte “caldo” nella politica internazionale è quello del Medio Oriente. Mentre Israele e Hamas portano avanti una fragile tregua, cosa resta della striscia di Gaza?
LC: Nella migliore delle ipotesi, resta un territorio completamente distrutto. Ne parliamo nella mappa «Tra le rovine di Gaza». L’intera striscia è devastata, la ricostruzione sarà costosissima: sicuramente ci sarà un impegno enorme dei Paesi del Golfo – Qatar e Arabia Saudita per primi – e della Giordania, che si sono già impegnati con i palestinesi. Di recente, però, il Re di Giordania ha incontrato Donald Trump, imprimendo una svolta al teatro mediorientale che potrebbe anticipare un futuro ancor più mesto per i palestinesi. Sono convinta che il Presidente americano e i suoi alleati israeliani ci proveranno: vogliono svuotare Gaza, in qualche modo.
BA: E cosa ne sarebbe di una striscia di Gaza completamente svuotata dei palestinesi?
LC: Verrebbe occupata dagli israeliani, ovviamente. Verrebbe “restituita” a Israele, nella retorica di Tel Aviv. Basta guardare quello che già sta succedendo in Cisgiordania: negli ultimi anni l’hanno spezzettata con insediamenti e strade presidiate dai soldati israeliani. Forse Trump potrebbe proporre anche l’annessione della Cisgiordania, oltre che di Gaza. I palestinesi andrebbero tutti in Giordania e il Re e il governo di Amman otterrebbero qualcosa in cambio, ovviamente. Una mossa simile destabilizzerebbe innanzitutto la Giordania, e poi causerebbe uno sconquasso in Medio Oriente.
BA: Se i palestinesi venissero cacciati da Gaza, però, i Paesi del Golfo non avrebbero più interesse per ricostruire la Striscia.
LC: Esatto. Ma non vedo nessun problema economico per Tel Aviv in una mossa del genere. I Paesi arabi cercherebbero di ripristinare lo stato di Gaza pre-guerra. Israele, invece, potrebbe abbattere tutto e ricostruire secondo i propri criteri. Economicamente, forse, costerebbe persino meno di una restaurazione rispettosa del passato della striscia. Potrebbero ricostruire Gaza con la loro urbanistica, la loro pianificazione, i loro insediamenti senza alcuna presenza palestinese ovviamente.
BA: E se i palestinesi non lasciassero Gaza, come si strutturerebbe il controllo della Striscia da parte di Israele?
LC: Questo la mappa ce lo spiega bene. Israele ha costruito il Gate 96 e il Corridoio Netzarim, che attraversa la Striscia fino al Mediterraneo e la taglia in due. Lungo i corridoi ci sono avamposti e basi per i militari, che ovviamente sono stati costruiti per essere occupati a lungo termine. Insomma, Israele sta cercando di spezzettare il territorio palestinese: innanzitutto sta separando la città di Gaza (a Nord) da Khan Yunis e Rafah, ma poi lo farà in modo ancor più capillare. In questo modo, sperano di interrompere le comunicazioni via terra, rendendo ancor più difficile la vita dei palestinesi.