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Universo Bergamo / Bergamo Città
Sabato 18 Gennaio 2025
L’acqua che non vediamo: quanta ne esportiamo con i prodotti agricoli?
L’intervista alla ricercatrice Marie-Curie, Francesca Greco. «L’Italia esporta acqua sottoforma di derrate alimentari, nonostante la devastante siccità degli ultimi 4 anni. Ed è tra le top 10 esportatrici di acqua da falda vulnerabile al mondo»
Un caffè espresso ha bisogno di 140 litri di acqua per essere coltivato e prodotto, dal chicco alla tazzina. Un chilo di grano ha bisogno invece di 1.350 litri di acqua e uno di riso di ben 3.000 litri. A spiegare il calcolo dell’acqua virtuale, che per definizione è il volume d’acqua utilizzato per produrre beni o servizi, ma che non si vede nel prodotto finale, è la ricercatrice Francesca Greco, che ha vinto la prestigiosa borsa di ricerca Marie-Curie (MSCA) , finanziata dall’Unione europea, superando una selezione di oltre 7.200 domande e confermandosi come prima dell’ateneo bergamasco ad aver ricevuto questo importante merito nel campo della ricerca scientifica.
![Medie mondiali, fonte FAO (2012) Medie mondiali, fonte FAO (2012)](https://storage.ecodibergamo.it/media/photologue/2025/1/17/photos/cache/lacqua-che-non-vediamo-quanta-ne-esportiamo-con-i-prodotti-agricoli_99b5a6b8-d4ef-11ef-bafa-cb82163de7ff_1920_1080_v3_large_libera.webp)
«Il merito, oltre che mio come ricercatrice, è quello dell’ateneo bergamasco che ha messo a mia disposizione personale altamente specializzato nella compilazione della domanda e un supervisore scientifico di eccellenza – esordisce la ricercatrice, seguita nel progetto di ricerca dal professore e geografo del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere, Filippo Menga –. Il fatto che l’ateneo abbia avuto la sua prima ricercatrice Marie Curie deve incentivare a farne arrivare tanti e tante altre in quanto Marie Curie rappresenta non solo il simbolo della scienza d’eccellenza, ma anche delle donne nella scienza».
Acqua virtuale: che cos’è e perché è importante?
«È l’acqua contenuta in modo invisibile nel nostro cibo e in tutti i nostri beni di consumo, perché è quella che è servita per produrli – spiega la ricercatrice (PhD in Water and Food Policy, King’s College London) –. Il punto è che non tutta l’acqua virtuale è la stessa: alcune acque sono più vulnerabili di altre, alcune sono non rinnovabili, alcune sottoposte a forte stress idrico e situazioni di siccità. È un calcolo complesso che si declina a livello sempre più locale. Significa che a partire dal dato globale sappiamo quanta acqua assorbe ogni seme (crop water requirement, dalla FAO, l’organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura) per diventare pianta fino al punto di raccolta. Sommando le medie mondiali di quanto “bevono” le piante, di caffè o di grano, in tutti i paesi del mondo si è arrivati ad una cifra, che è una media», osserva l’esperta di politiche idriche.
![Fonte: elaborazione su dati Mekonnen e Hoekstra, 2014 Fonte: elaborazione su dati Mekonnen e Hoekstra, 2014](https://storage.ecodibergamo.it/media/photologue/2025/1/17/photos/cache/lacqua-che-non-vediamo-quanta-ne-esportiamo-con-i-prodotti-agricoli_8208bad2-d4ef-11ef-bafa-cb82163de7ff_1920_1080_v3_large_libera.webp)
Il progetto di ricerca «JustWater» , che la dottoressa Greco sta portando avanti da un anno ha come obiettivo «comprendere se e da dove l’Italia sta esportando derrate alimentari irrigate da corpi idrici vulnerabili, ossia in cattivo stato. Abbiamo già la risposta al “se”, in quanto l’Italia è il decimo paese al mondo in termini di esportazioni agricole irrigate con falde vulnerabili. Per i corpi idrici superficiali, quindi fiumi e laghi, va fatto un calcolo basato sull’export agroalimentare italiano, regione per regione, in base ai maggiori prodotti esportati e va sovrapposto con le mappe di questi corpi idrici, già disponibili presso database europei».
Una dimensione completamente nuova che la ricerca affronta è quella del genere promettendosi di investigare il ruolo delle donne nelle politiche idriche italiane, visti anche i significativi squilibri di genere nella proprietà terriera. Questo step rappresenterà una novità assoluta nella letteratura sull’acqua virtuale e un contributo significativo per arricchirla. Dall’altra parte fa riflettere su ciò che sfugge alla nostra percezione, come per esempio l’industria dell’abbigliamento, ai primi posti per consumo idrico: «Comprare un paio di jeans usati equivale a riciclare 8000 litri di acqua in un colpo solo perché non servirà del nuovo cotone per produrli. Quindi, prestiamo attenzione a cosa sia meglio: per risparmiare acqua spesso basta andare nel circuito dell’usato e la nostra impronta non solo idrica, ma ecologica, si dimezza di colpo. Per quanto riguarda invece ciò che sfugge alle competenze e alle possibilità del singolo cittadino, è lo stato che deve virare verso un’agricoltura da fonte riciclata e imporre alle industrie di avere filiere più circolari» aggiunge Greco.
Aree geografiche e strumenti di ricerca
L’intero territorio della Penisola è parte del progetto di ricerca, anche se «l’attenzione particolare è rivolta ai distretti agricoli che esportano maggiormente e che insistono su falde e corpi idrici di superficie sfruttati e in cattivo stato a causa della siccità o dell’inquinamento seguendo i dati che arrivano dalla Commissione europea – precisa la ricercatrice –. Alcuni distretti agricoli sono noti, e sono quelli che saranno frutto di ipotesi, come il radicchio di Chioggia nel delta del Po , le coltivazioni di Kiwi in Lazio, i pomodori in Sicilia e tutta la risicultura del Vercellese».
Per quanto riguarda invece gli strumenti necessari a condurre la ricerca quello al momento fondamentale è un software di mappatura GIS: «sono sistemi di informazione geografica che permettono la mappatura e l’analisi di dati geolocalizzati» spiega Greco, il cui progetto di ricerca ha un’ambizione molto grande che è quella di promuovere la “citizens’s science” ossia, «la fruibilità della scienza da parte dei cittadini e la costruzione stessa di nuovi dati da parte della cittadinanza che sono messi nelle condizioni di accedere ai dataset e alle informazioni prodotte dagli enti di ricerca e dalle università».
Valorizzare le falde acquifere
«Le falde non sono importanti, sono fondamentali – è la risposta di Greco quando le viene chiesto che riflessione va fatta sul ruolo che rivestono – Il 99% delle risorse di acqua dolce liquida, e quindi, esclusi oceani e ghiacci, si trova sottoterra. Solo circa l’1.2% dell’acqua dolce liquida è visibile ai nostri occhi sottoforma di fiumi e laghi. Le falde, alla luce della loro funzione di stoccaggio, sono state individuate dalle Nazioni Unite proprio come quelle risorse idriche che ci aiuteranno e accompagneranno nella sopravvivenza della specie umana, una volta esaurite le risorse di superficie».
![Fonte: elaborazione su dati Mekonnen e Hoekstra, 2014 Fonte: elaborazione su dati Mekonnen e Hoekstra, 2014](https://storage.ecodibergamo.it/media/photologue/2025/1/17/photos/cache/lacqua-che-non-vediamo-quanta-ne-esportiamo-con-i-prodotti-agricoli_93ff5b6a-d4ef-11ef-bafa-cb82163de7ff_1920_1080_v3_large_libera.webp)
Principalmente per due motivi: «L’acqua sotterranea non evapora (come invece fa l’acqua stoccata nelle dighe) e se gestite in modo avveduto, le falde possono essere naturalmente o artificialmente ricaricate. Questo aiuterebbe non solo ad aumentare lo stoccaggio per il futuro e per i tempi di siccità, ma permetterebbe anche di evitare per quanto possibile i grandi allagamenti dei centri urbani». In che modo? «le tecniche di de-impermeabilizzazione del manto asfaltato delle città (tema di cui si sta occupando anche l’Università di Bergamo con un progetto di ricerca specifico portato avanti dal professor Emanuele Garda) permettono di far percolare le acque in eccesso durante gli allagamenti, fino alle falde sottostanti le città – prosegue la ricercatrice –. Ecco dunque il triplo ruolo delle falde: tesori da preservare per il futuro siccitoso che ci attende, protezione dagli allagamenti, riserve resistenti all’evaporazione di superficie, a cui invece sono sottoposti fiumi, laghi e riserve artificiali, che con l’innalzamento delle temperature, evaporano a ritmi sempre più alti».
Una seconda importante considerazione da fare è che ci sono evidenti benefici che derivano dall’aumento del riciclo e del riuso delle fonti idriche. Anche in questo caso abbiamo l’esperienza diretta di Greco: «Negli ultimi sei anni ho vissuto a Cipro dove il frutto del drago, detto anche Pitaya, è coltivato in molte zone con acqua 100 per cento riciclata dalla città di Limassol – fa sapere –. Un altro esempio è quello di Singapore, che ricicla il 40 per cento dell’acqua per uso domestico». È doveroso pensare anche a ciò che sfugge alla nostra percezione, come per esempio l’industria dell’abbigliamento, ai primi posti per consumo idrico: «Comprare un paio di jeans usati equivale a riciclare 8000 litri di acqua in un colpo solo perché non servirà del nuovo cotone per produrli. Quindi, prestiamo attenzione a cosa sia meglio: per risparmiare acqua spesso basta andare nel circuito dell’usato e la nostra impronta non solo idrica, ma ecologica, si dimezza di colpo. Per quanto riguarda invece ciò che sfugge alle competenze e alle possibilità del singolo cittadino, è lo stato che deve virare verso un’agricoltura da fonte riciclata e imporre alle industrie di avere filiere più circolari» conclude la dottoressa Greco.
*Francesca Greco, è già stata gender & water officer presso le Nazioni Unite a UNESCO /World Water Assessment Programme, ed è stata co-autrice del primo libro italiano sull’acqua virtuale e impronta idrica, chiamato, appunto, “L’acqua che Mangiamo”, poi tradotto per Springer in inglese, libro che tuttora registra download ufficiali superiori alle 31 mila unità.
@francescagreco78
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