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La neve al Farno (e al pizzo Formico) tra ricordi e sentieri da percorrere

Racconto. L’itinerario che vi presentiamo oggi è lungo 12.5 chilometri con un dislivello positivo di 900 metri. In quattro ore di cammino è possibile scoprire la bellezza della Valgandino e fare un tuffo nel passato con i vecchi impianti di risalita del Farno

Lettura 7 min.
Verso il Tribulino dei Morti

Èimpossibile resistere al richiamo della prima nevicata, così giunge a fagiolo l’idea di una meta classica ripercorsa in un itinerario alla ricerca delle testimonianze degli albori dello sci nelle Orobie. Ci rechiamo in Valgandino, di primissimo pomeriggio, per puntare al Monte Farno e al Pizzo Formico. La neve caduta la scorsa settimana ha imbiancato i monti solo in alto, perciò, prima di partire, controllo la webcam del rifugio Parafulmine, il punto di riferimento per gli escursionisti diretti alla conca del Farno: il Pizzo Formico e tutta la piana della Montagnina sono bianchi, si va! La cima del Pizzo Formico e il Monte Farno sono visibili già all’imbocco della valle Seriana. Mentre percorriamo la strada provinciale notiamo effettivamente che la neve ha coperto solamente i prati sommitali, dai 1400 metri in su.

Farno è un termine di origine celtica per fair, monte. Scartabellando tra i miei testi “sacri” noto con curiosità che Giovanni da Lezze, nel 1596, lo chiama Farro mentre il Maironi da Ponte, nel 1819, lo denomina Fano. In entrambi i casi ritengo che si tratti di errori di trascrittura.

Scegliamo di partire dalla località Groaro (880m), sopra Barzizza, per cimentarci in un itinerario decisamente panoramico e lontano dal vivace viavai di appassionati che calcano il classico tragitto di accesso al Monte Farno e al Pizzo Formico. Sostiamo presso il piccolo posteggio gratuito sul tornante della strada asfaltata che conduce al Farno. Trovare un posto di pomeriggio è cosa facile. Iniziamo il cammino seguendo le indicazioni del sentiero CAI n° 459. Si scende brevemente per attraversare la Valle Groaro che ospita un grande ghiaione chiamato il girù di Cirano, dal nome del borgo sottostante.

Risaliamo il versante opposto sul margine del ghiaione. Il termine Groaro è un tema mediterraneo per grovaro, da grava, letto di sassi. In effetti se ci spingiamo sul ciglio a dare una sbirciata non possiamo far altro che confermare questo appellativo. Nel suo tratto iniziale il sentiero presenta un fondo sassoso e sale piuttosto ripido nel bosco. Intorno a quota 1100 metri il percorso diviene più agevole e abbandona la Valle Groaro per dirigersi verso Est. In poche decine di minuti sbuchiamo in prossimità del Tribulino della Guazza (1257 m), posto ai margini di uno spiazzo pratoso chiamato Piazza Barile, probabilmente per la presenza, un tempo, di uno stagno profondo.

Le origini della santella si perdono nei secoli: il racconto di alcuni vecchi mandriani fa risalire la cappelletta addirittura al 1300 e alcuni documenti comunali testimoniano la sua riedificazione avvenuta nel 1765. Il Tribulino andò in disuso intorno agli anni ’20 del secolo scorso e cadde nell’oblio fino al 1974, quando alcuni appassionati rivennero i ruderi sommersi dalla vegetazione e decisero di attivarsi per ridare vita a questo antico luogo di devozione popolare.

Con l’aiuto della sottosezione del CAI Valgandino si procedette alla ricostruzione. I lavori di scavo portarono in evidenza elementi strutturali decisamente più antichi del 1765, avvalorando l’ipotesi di un preesistente manufatto di epoca trecentesca. Il 26 settembre 1976, alla presenza di più di mille persone, il Tribulino fu inaugurato con dedica ai Caduti della Montagna e intitolato alla Madonna del Carmelo. Qualche anno più tardi, nel 1981, venne realizzato un bivacco come locale accessorio alla santella e dedicato alla memoria dell’ingegnere Dante Baroncelli, uno dei fondatori del CAI Valgandino. Il bivacco è sempre aperto per offrire riparo agli escursionisti in situazioni di emergenza.

Il bivacco Baroncelli
Il bivacco Baroncelli
La Croce dei Patori con la discussa piramide
La Croce dei Pastori con la discussa piramide
Parapendii alla Croce dei Pastori
Parapendii alla Croce dei Pastori

Poco distante dal bivacco, protesa verso la vallata, si erge la grande Croce dei Pastori, realizzata nel 2002 in un punto assai panoramico. La croce è dotata di un impianto di illuminazione a led che di notte la rende visibile da tutta la Valgandino. A pochissimi metri di distanza una dall’altra coesistono tre testimonianze di storia locale. Qualche mese fa è comparsa alle spalle della croce una piramide alta un paio di metri, struttura alquanto insolita che ha suscitato non poche perplessità per l’impatto estetico e paesaggistico. Si tratta di un locale tecnico costruito da un privato cittadino per proteggere l’impianto elettrico di illuminazione della croce, ma è stato realizzato senza le dovute autorizzazioni, pertanto il Comune ne ha deliberato la rimozione.

Raggiungiamo la Croce dei Pastori in concomitanza del volo di alcuni parapendii che si destreggiano in abili manovre a sfioro del declivio: il sole regala uno spettacolo di luce e colori!

Riprendiamo il cammino procedendo sempre sul sentiero n° 459 che si innalza alle spalle del bivacco. La vegetazione diviene rara lasciando spazio ad ampi pascoli. Si intravede la prima neve. Ci addentriamo nella parte alta della Val Fada e, anziché scollinare verso la baita di Guazza bassa, abbandoniamo il sentiero principale scendendo leggermente a destra per attraversare la valle. Puntiamo un tratturo molto evidente e pochi metri oltre la valletta imbocchiamo, a sinistra, il sentiero che risale il collinone pratoso soprastante. Iniziamo a calpestare la neve mentre i panorami divengono sempre più entusiasmanti: a sinistra si apre la conca imbiancata della Montagnina protetta dall’autorevole mole del Pizzo Formico; a destra si intravede tutta la Valgandino, mentre alle nostre spalle lo sguardo percorre la Valle Seriana spingendosi fino in pianura.

Salendo verso il rifugio Parafulmine
Salendo verso il rifugio Parafulmine
In cima al collinone
In cima al collinone
Il pizzo Formico salendo verso il rifugio Parafulmine
Il pizzo Formico salendo verso il rifugio Parafulmine

Spuntiamo in cima al collinone, a quota 1500 metri circa, con la neve che scrocchia sotto i nostri piedi. Dinnanzi a noi appare il rifugio Parafulmine (1535m) che raggiungiamo dopo aver sfiorato un paio di pozze d’acqua completamente ghiacciate. L’ambiente innevato e la luna appena sorta dietro il rifugio regalano una suggestione unica. Nonostante l’orario quasi vespertino il Parafulmen brulica di gente e alla cassa non poche persone sono in attesa del proprio turno.

Oltrepassiamo il rifugio e procediamo verso Est sul crinale. Una breve discesa con neve divertente ci conduce alla selletta che ospita la Tribulina dei Morti della Montagnina (1483m), posta ai margini di una pozza d’abbeverata. La storia di questa tribulina è legata a un racconto tramandato di padre in figlio: si narra che nel 1800 due malghesi, al termine del periodo d’alpeggio, vendettero i propri bovini ricavandone un bel gruzzolo. Sulla strada di casa vennero rapinati ed uccisi, e i loro corpi gettati nella pozza. Nei giorni seguenti alcuni mandriani, constatando che le mucche evitavano di abbeverarsi alla pozza, si avvicinarono e notarono i corpi dei due sventurati. In ricordo di quei morti venne eretta la cappelletta.

Il tribulino dei morti
Il tribulino dei morti
La Presolana dalla Forcella Larga
La Presolana dalla Forcella Larga
Verso la Croce del Pizzo Formico
Verso la Croce del Pizzo Formico

Dalla tribulina seguiamo la strada innevata che, in leggera discesa, conduce alle baite dell’alpe Montagnina (1437m), è l’unico tratto in ombra dell’intera gita. Presso le baite transita la celeberrima pista da fondo della Montagnina, fino a pochi anni fa meta privilegiata degli appassionati dello sci nordico e molto apprezzata anche dal sottoscritto. Nonostante le temperature particolarmente rigide che caratterizzano questa conca di origine carsica (in questi giorni si scende spesso a – 15°), ultimamente la scarsità di precipitazioni nevose non consente la battitura della pista. Un vero peccato!

Alle baite deviamo per il sentiero che si diparte sulla destra procedendo a mezza costa fino alla Forcella Larga (1470m), punto strategico di collegamento con il territorio di Clusone. Nei pressi del valico spiccano la bronzea campana degli alpini di Gandino e Clusone ed i ruderi della Capanna Ilaria, rifugio costruito nel 1928 per accogliere i numerosi scialpinisti che in quegli anni si cimentavano nella famosa traversata del Formico: si andava da Casnigo a Clusone sci ai piedi (bei tempi!). Nei primi anni ’40 si registrò il crollo del tetto, preludio al definitivo decadimento della costruzione. Nell’intaglio del valico appare, elegantissima, la Presolana.

La Capanna Ilaria in una foto d’epoca
La Capanna Ilaria in una foto d’epoca
(Foto Archivio L’Eco di Bergamo)
Scendendo dal Formico per il crinale Ovest
Scendendo dal Formico per il crinale Ovest
Seguendo il crinale del Monte Farno
Seguendo il crinale del Monte Farno

Dalla Forcella seguiamo il sentiero fino alla cima del Pizzo Formico (1636m), inconfondibile con la sua poderosa croce. La vista sull’altipiano di Clusone e sulle Orobie è meravigliosa. Considerata la giornata favorevole, anziché tornare alla Forcella Larga e rientrare per il sentiero n° 459 decidiamo di spingerci alla ricerca delle testimonianze del passato sciistico del monte Farno.

La discesa per il crinale Ovest del Formico è baciata dal sole e l’assenza di ghiaccio consente di procedere agilmente senza dover calzare i ramponcini. Ci immettiamo sulla affollata strada agrosilvopastorale che collega la conca della Montagnina con il posteggio della ex Colonia. Notiamo però che la strada è ghiacciata e che molti escursionisti calzano i ramponcini. Fortunatamente dobbiamo percorrerla per un brevissimo tratto e ci destreggiamo aggrappandoci alla staccionata di legno. Appena iniziata la discesa cementata (a quota 1380 metri), abbandoniamo la strada e ci tuffiamo nei prati a sinistra per raggiungere il crinale del Monte Farno. La neve è sparita e si cammina nei pascoli che risultano percorribili solo nella stagione invernale. Questa variante, bucolica e solitaria, sfiora alcune cascine affacciate sulla Valgandino, piccoli gioielli di architettura rurale. Non esiste un sentiero vero e proprio ma il percorso è facilmente intuibile. È un dolcissimo alternarsi di collinette e piccole conche che rendono il cammino assai avvincente.

Tra collinette e piccole conche
Tra collinette e piccole conche
Lungo il crinale del Farno
Lungo il crinale del Farno
Il pizzo Arera e il roccolo Moretti
Il pizzo Arera e il roccolo Moretti

Transitiamo in prossimità dell’arrivo del vecchio skilift che, dal 1970 al 2000, ha avviato numerosi bimbi gandinesi alla pratica dello sci. Poco oltre scendiamo sulla strada cementata di accesso alle dimore realizzate negli anni sessanta in prossimità della stazione d’arrivo della seggiovia «Gandino-Farno». L’impianto, costruito nel 1960, era uno dei primi impianti sciistici della provincia di Bergamo e rappresentò un punto di riferimento per tutta la Val Seriana. La conca del Farno era da molti anni una meta molto frequentata dagli sciatori. Un documento nell’archivio comunale di Gandino attesta che nel 1925, esattamente un secolo fa, si contavano più di 500 skiatori al Farno. Addirittura vennero realizzati due trampolini per il salto con gli sci. Negli anni ’30 alla stazione dei treni di Bergamo c’erano grandi manifesti che raffiguravano il Monte Farno per accogliere gli sciatori provenienti da Milano.

Negli anni Settanta il Farno era diventato il punto di riferimento delle vacanze in montagna dei residenti della ricca Val Seriana (il tessile era nel suo boom): c’erano l’albergo Ongaro e la Capanna Pineto, di proprietà dell’Atalanta, l’albergo Edelweiss e l’ex Colonia delle Orsoline che ospitava ogni anno migliaia di ragazzi. La seggiovia arrivò troppo tardi e non ebbe fortuna in quanto la quota decisamente bassa (si andava dai 550m ai 1250m) non garantiva innevamento sufficiente per fare del Farno una stazione sciistica moderna. Venne utilizzata più d’estate che d’inverno e fu dismessa nel 1976, in concomitanza con il completamento della strada carrozzabile di accesso al Monte Farno.

L’albergo Edelweiss
L’albergo Edelweiss
(Foto Archivio Storylab)
Trampolino da sci sul farno - Foto d’epoca anni 20
Trampolino da sci sul farno - Foto d’epoca anni 20
Sciatori sul Farno 1930
Sciatori sul Farno 1930

Presso un piccolo posteggio posto appena sotto la stazione d’arrivo della seggiovia (oggi trasformata in dimora privata), si diparte un sentierino che conduce al pilone terminale dell’impianto. Perfettamente allineati, uno dopo l’altro, si scorgono gli altri piloni, scheletri di metallo in stridente contrasto con l’amenità del luogo. È notizia di pochi mesi fa che il comune di Gandino, in collaborazione con l’Università di Bergamo, sta approntando un progetto di recupero e valorizzazione dei tralicci del vecchio impianto di risalita, con il proposito di non perdere la memoria storica della rinomata località sciistica e di trasformare questi manufatti in punti di richiamo turistico in armonia con l’ambiente circostante. Rimango curiosamente in attesa.

Seguiamo per un breve tratto i tralicci in discesa per poi piegare a destra verso un piccolo valico dove spicca una stradella diretta a un’azienda agricola. Oltrepassata l’azienda, la cementata risale qualche metro per poi scendere a connetersi alla strada del Farno. Per accorciare il percorso, anziché risalire, tagliamo per i prati sottostanti, attraversiamo una valletta e transitiamo poco sotto una casa appena ristrutturata. Arriviamo così a lambire il guard rail in corrispondenza di un curvone della strada e seguiamo il sentiero che percorre la dorsale fino a ricongiungersi alla strada, più in basso. Da qui, seguendo l’asfalto per poco più di un chilometro, ci ritroviamo al punto di partenza.

La cartina del percorso
La cartina del percorso
I piloni della vecchia seggiovia del Farno
I piloni della vecchia seggiovia del Farno
Scorci sulla Valgandino e sulla Valle Seriana
Scorci sulla Valgandino e sulla Valle Seriana

P.S. l’itinerario qui descritto è lungo 12.5 chilometri con un dislivello positivo di circa 900 metri. Calcolare quattro orette di cammino. Il percorso non presenta difficoltà tecniche ma non sempre le condizioni della neve possono risultare favorevoli, pertanto consiglio di munirsi di ramponcini e bastoncini.

Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli, salvo ove diversamente segnalato

Dal Tribulino dei Morti verso l’alpe Montagnina
Dal Tribulino dei Morti verso l’alpe Montagnina
I tremila delle Orobie
I tremila delle Orobie
Pozza d’acqua nelle vicinanze del rifugio Parafulmine
Pozza d’acqua nelle vicinanze del rifugio Parafulmine
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