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I Folkstone, «La fabbrica dei perdenti» e il giorno in cui è ricominciato tutto

Articolo. Mentre si prepara ad esibirsi all’Alcatraz di Milano, domenica 17 marzo, Lorenzo “Lore” Marchesi ci racconta il nuovo corso dei Folkstone. E di come un singolo concerto sia diventato il punto di partenza per una rinascita artistica

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Per molti anni, nel panorama musicale metal italiano, pronunciando la parola «Bergamo» si riceveva come risposta: «Folkstone». Una formazione folk metal che, mischiando il suono delle chitarre a quello di strumenti musicali antichi come cornamuse e ghironde, ha conquistato i cuori di migliaia di fan in tutto lo Stivale. Sette album studio, tre album live e centinaia di concerti dentro e fuori dai confini nazionali hanno decretato il successo di una band atipica, votata al pubblico e al contatto umano.

Come un fulmine a ciel sereno, nel 2019 era arrivata la notizia dello scioglimento e, da qui, quattro anni di silenzio. Poi, improvvisamente, nel 2023 compare sui social della band un messaggio che recita: «La pausa birretta sta per finire», seguito qualche settimana dopo dall’annuncio di un concerto di reunion al Live Club di Trezzo come headliner della seconda giornata del «Metalitalia Festival».

I Folkstone sono tornati più attivi che mai. Per capire meglio come sta procedendo il nuovo corso della band in vista del concerto del 17 marzo all’Alcatraz di Milano, ho fatto due chiacchiere con il cantante Lorenzo Marchesi, noto tra i fan semplicemente come «Il Lore».

GT: I Folkstone sono stati tante cose. Un gruppo emergente che a metà degli anni 2000 ha cominciato a fare musica folk metal, un gruppo affermato dopo il 2010 che ha girato l’Italia e l’Europa con pezzi più ragionati. Oggi i Folkstone cosa sono?

LM: I Folkstone sono sempre la stessa cosa. Fondamentalmente un gruppo che vuole suonare dal vivo e cerca di raccontare attraverso la musica quello che vive e che sente, senza troppe pretese. Da quando è partito il progetto, tutti noi abbiamo sempre cercato di raccontare le nostre storie attraverso un genere con sonorità folk, che oscilla tra punk e metal. Rispetto al passato siamo solo un po’ più attempati!

GT: Qual è stato il processo che ha portato la band a ricominciare a suonare?

LM: È stata una cosa del tutto spontanea. Quando ci siamo sciolti nel 2019, sia io che Roby (ndr la cornamusista Roberta “Roby” Rota) eravamo proprio “spompati”, quindi abbiamo appeso la chitarra e l’ugola al chiodo, senza cimentarci in progetti secondari o altro. Poi, dopo tre anni, ci siamo ritrovati tutti insieme e, parlando col nostro manager, ci siamo detti: «Perché non proviamo a fare una data?». Così abbiamo annunciato la nostra presenza al «Metalitalia Festival», una cosa giusto per i fan della band, senza nessuna pretesa di rilanciare il gruppo. La risposta è stata totalmente al di fuori delle nostre aspettative. Sold out in tempo zero, nonostante la data fosse stata annunciata a febbraio per il 17 settembre, cosa assolutamente non scontata dato l’assoluto silenzio a livello di pubblicazioni e comunicati nei tre anni precedenti.

GT: Che effetto vi ha fatto?

LM: Ci ha fatto molto piacere, perché ci ha fatto capire che negli anni avevamo lasciato qualcosa in chi ci ascoltava. In fin dei conti, il nostro mestiere è trasmettere delle emozioni e dei messaggi e, dopo anni, vedere che c’era ancora tanto interesse per ciò che avevamo da dire ci ha dato una carica enorme. Poi, quando siamo saliti di nuovo sul palco, è scoccata la proverbiale “scintilla” ed è ricominciato tutto, come se non ci fossimo mai lasciati. Nel 2019 eravamo sicuramente stanchi, totalmente esauriti a livello di energie, però credo sia impossibile cancellare una vita di musica e di storia insieme schioccando le dita. Insomma, da quel giorno è ricominciato tutto. Ci siamo messi a scrivere nuovi pezzi, trovando nuove soluzioni e divertendoci come un gruppo di adolescenti.

Una nota personale. Quel giorno ero presente al concerto e, avendo visto i Folkstone suonare dal vivo molte volte nel corso della mia vita, posso confermare che sul palco si percepiva un forte senso di affiatamento. Anche la risposta del pubblico è stata straordinaria. Non c’era una persona in tutta la sala che non sapesse a memoria tutti i pezzi della fitta scaletta ideata appositamente per l’occasione. Volendo fare dell’ironia, Lore avrebbe tranquillamente potuto spegnere il microfono e far terminare il concerto ai fan.

GT: Poco dopo avete annunciato il tour «Sopra le macerie» che vi ha visti impegnati a dicembre sui palchi di quattro città italiane. Avete avuto un buon riscontro anche in questo caso?

LM: Assolutamente sì. In tre dei quattro concerti organizzati, ovvero quelli di Padova, Asti e Firenze, abbiamo fatto sold out, e a Roma lo abbiamo mancato per una manciata di biglietti. È inutile negarlo, siamo stati contentissimi e molto stupiti, perché comunque siamo un gruppo piuttosto underground e anche il genere che facciamo è molto al di fuori della musica metal mainstream, soprattutto considerando che il nostro cantato è in italiano. Questo ci ha dato ulteriore carica, per cui abbiamo pubblicato l’ultimo singolo «La fabbrica dei perdenti» e domenica suoniamo all’Alcatraz. Insomma, siamo di nuovo in giro.

GT: I Folkstone si sono sciolti nel 2019 per riunirsi nel 2023, un periodo piuttosto particolare per via della pandemia di Covid-19 che ha cambiato parecchio le “regole del gioco” per gli artisti in ogni settore. Cosa credi sia cambiato nel mondo musicale?

LM: Che il mercato musicale sia cambiato è un dato di fatto. Quando ci siamo lasciati, nel nostro settore si era ancora molto legati all’album in CD, ora il supporto fisico è considerato come superato. È cambiato anche il modo di fruizione della musica ma, onestamente, sono cose a cui badiamo poco, per cui non so darti una risposta precisa. Per noi la cosa più importante sono i concerti dal vivo e forse è anche per quello che abbiamo un legame così forte con la gente che ci segue. Al di là dei numeri sui canali streaming, per noi suonare dal vivo è fondamentale. Credo sia un concetto mal visto in certi ambiti, ma sono convinto che la musica dal vivo rimanga il cuore della musica.

GT: Gli ultimi due singoli, «Macerie» e il nuovissimo «La fabbrica dei perdenti», oltre che il nuovo logo, fanno da apripista a quello che sarà lo stile della band nel prossimo futuro. Cosa è cambiato, cosa è rimasto uguale e qual è stata la risposta dei fan a queste novità?

LM: Sicuramente non sono cambiate le sonorità della band. Non abbiamo strumenti nuovi o inserti particolari in formazione. Semplicemente passa il tempo, ci si evolve, si invecchia e cambiano i gusti che poi vanno a influenzare quella che è la composizione di un nuovo brano. Poi, se si vuole andare nello specifico, l’ultimo singolo «La fabbrica dei perdenti» è una sorta di sfogo nei confronti di un sistema musicale molto asettico, in cui ad alti livelli sembra che non ci sia più un desiderio di trasgressione ma solo una ricerca di soldi ad ogni costo. Non parlo di mercato underground. Mi sembra però che il poco messaggio sociale che c’era nella musica mainstream si stia perdendo nella smania di “scimmiottare” la musica americana. Ho trasformato quindi questa mia forma di rigetto in un pezzo.

GT: C’è qualcosa che non hai ancora fatto ma che ti piacerebbe sperimentare a livello musicale?

LM: Un piccolo sogno nel cassetto sarebbe portare un mini tour acustico nei teatri. Mi piacerebbe tantissimo, ma è una cosa molto lontana nel tempo perché adesso stiamo lavorando al nuovo album, che uscirà in CD giusto per ribadire quanto detto sopra. Ogni tanto passo davanti al Teatro Sociale e ci penso ma, per ora, devo concentrarmi sui progetti attuali.

GT: Come vedi il panorama metal bergamasco attuale?

LM: Ci sono tantissime band valide. Mi è capitato qualche volta di fermarmi in qualche locale della zona ad ascoltare delle band di ragazzini e trovarmi a pensare: «Questi spaccano!». Tutta gente giovanissima ma davvero in gamba. Oltretutto, rispetto al passato mi sembra ci siano parecchi locali che stanno offrendo palchi dove far suonare. Penso all’Ink Club, il Polaresco e l’Edoné a Bergamo, l’Ufo a Mozzo e tanti altri. È segno di un panorama underground forte e con valori, nettamente distaccato dal mondo del mainstream di cui parlavamo prima.

GT: Pronti per il concerto di domenica all’Alcatraz?

LM: Prontissimi! Domenica registreremo il videoclip de «La fabbrica dei perdenti» e avremo bisogno di più gente possibile e delle voci di tutti i presenti. Per il resto, noi daremo il meglio come abbiamo sempre fatto.

In un mercato musicale dove spesso è l’interesse economico a farla da padrone, fa ben sperare sentire il racconto di una band che si riunisce per il desiderio di fare musica e gestirla a modo suo. Una band che non sottostà a formule ben precise, ma continua a prestare attenzione ai suoi fan. Durante la nostra chiacchierata, Lore si è dimostrato una persona dal carattere forte e concreto, ma attento alle necessità della sua arte e a ciò che innesca nelle persone che vi entrano a contatto. In altre parole, i Folkstone sono tornati per fare buona musica come ne hanno sempre fatta e, di questo, il panorama musicale bergamasco gioverà sicuramente.

Il prossimo appuntamento con i Folkstone è fissato per il 17 marzo all’Alcatraz di Milano in occasione della Festa di San Patrizio.

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